Kore Enna. Psicologia: nessuna correlazione fra social network e autolesionismo

Psicologia: nessuna correlazione fra social network e autolesionismo
Presentati i lavori di uno studio al quale hanno partecipato ricercatori della Kore


social networkNessuna correlazione fra l’utilizzo dei social network e l’insorgenza di autolesionismo- l’atto di procurare a se stessi ferite, escoriazioni, bruciature, sofferenza – pratica tristemente nota fra gli adolescenti e giovanissimi utenti della rete anche a causa di hashtag come #cutting e #selfharm, utilizzatati su piattaforme come Tumblr e Twitter. E’ il risultato di uno studio realizzato da un gruppo di ricercatori italiani, nato dalla collaborazione fra l’Universita’ IULM di Milano, l’Universita’ ”Kore” di Enna e IESCUM – Istituto Europeo per lo Studio del Comportamento Umano, che verra’ presentato giovedi’ 16 luglio a Berlino, durante la 13a conferenza mondiale dell’ACBS – Association for Contextual Behavioral Science, evento che riunisce psicologi, analisti del comportamento, esperti in scienze del comportamento, provenienti da tutto il mondo. Due anni di ricerca, oltre 500 gli utenti della rete coinvolti: blogger, youtubers, iscritti a Twitter o Pinterest. Lo studio – coordinato da Giovambattista Presti, Professore Associato presso l’Universita’ ”Kore” di Enna, e da Paolo Moderato, Ordinario di Psicologia Generale presso l’Universita’ IULM di Milano, presidente di IESCUM – Istituto Europeo per lo Studio del Comportamento UMANO – ha condotto alla realizzazione di una tesi di laurea triennale, elaborata da Martina Algozino, studentessa presso la ‘Kore’, ed ad un primo ‘poster’, ovvero un cartellone esplicativo che verra’ presentato per la prima volta al pubblico della conferenza berlinese.
”Siamo abituati a dare la colpa di questo fenomeno al web”, spiega Presti, autore del volume ”Lo Psicologo nella Rete: Internet da strumento a paradigma”, ”ma, in realta’, Internet e’ solo il luogo in cui questi ragazzi lanciano il loro messaggio di SOS”. Non c’e’, dunque, un nesso di causalita’ fra la frequentazione dei social network e l’incidenza di questo fenomeno: ”il 90% dei soggetti da noi intervistati, provenienti da tutto il mondo, soffre di depressione grave ed utilizza il web per diffondere il proprio messaggio di sofferenza; siamo noi a dover raccogliere quel grido di aiuto, senza giudicare”. I social, insomma, fanno letteralmente da ”rete” di supporto a chi cerca i propri simili, compagni di sofferenza: ”Siamo partiti da un post diffuso tramite Medium.com, da una blogger statunitense che spiegava come i social network l’avessero aiutata a scoprire altre persone con il suo stesso problema”, ricorda Presti. Da li’, si e’ aperto un varco nelle pagine piu’ buie della rete: ”Attraverso Facebook, Youtube, Twitter, Google+, adolescenti e giovani adulti diffondono con video, post, fotografie, esempi del loro malessere: e’ il loro modo di condividere un comportamento e chiedere supporto emotivo a chi si presume possa comprendere, perche’ affetto dallo stesso disagio”, spiega Martina Algozino.
I numeri dello studio lasciano senza fiato: 27 milioni di risultati con chiave di ricerca ”self harm” su Google.com, poco meno di 15 milioni sul motore di ricerca italiano, Virgilio.it; insorgenza del comportamento a partire dai 13 anni e netta prevalenza – fra coloro che volontariamente hanno accettato di compilare il questionario online proposto dai ricercatori – di ragazze provenienti dall’emisfero nord, prevalentemente dall’Europa e dagli Stati Uniti. Come affrontare il fenomeno self harm? ”Con terapie cognitivo comportamentali di terza generazione, come l’Acceptance and Commitment Therapy”, spiega Presti, curatore dell’edizione italiana di ”Fare ACT. Una guida pratica per professionisti all’Acceptance and Commitment Therapy”. ”La psicologia contemporanea, quella che basa il suo intervento su fatti ed evidenze scientifiche, si e’ presa carico della sofferenza umana – che puo’ assumere varie forme, una delle quali e’, appunto, l’autolesionismo in eta’ adolescenziale – dalla quale non si puo’ sfuggire. Compito di terapie come l’ACT, l’Acceptance and Commitment Therapy, e’ proprio quello di affrontare la sofferenza. E sara’ proprio questo il tema affrontato all’interno della conferenza mondiale ACBS”, spiega Paolo Moderato. A Berlino, infatti, i ricercatori italiani presenti – provenienti in massima parte dalle Universita’ Kore e IULM, nonche’ dalle scuole di specializzazione post laurea Ascco di Parma, Humanitas di Milano e ASCoC di Lamezia Terme – affronteranno temi legati alla sofferenza in eta’ infantile ed adolescenziale: dalla depressione ai disturbi ossessivo compulsivi, fino al dolore cronico.


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