Aidone. Festa di San Filippo Nero, da non confondersi con San Filippo Neri

Festa di San Filippo Nero, da non confondersi con San Filippo Neri, è per gli abitanti di Aidone un momento di intensa commozione e spiritualità, ma anche una occasione per fare festa, per ritrovarsi.

Aidone. Il progresso oltre a portare cultura, benessere e civiltà, ha portato un pressante materialismo che non solo ha indurito e reso insensibile l’animo umano, ma ha reso l’uomo fatalista. Cosicchè sembra quasi impossibile l’attaccamento a certe tradizioni, l’amore, la fede e la devozione per alcuni Santi. E l’1 maggio questo amore e questa devozione che si manifestano durante la festa di San Filippo Apostolo in Aidone, con un afflusso di pellegrini che ha dell’incredibile, sono ben evidenti e tangibili.
San Filippo, detto anche il Nero perché africano e perché la tradizione, erroneamente, lo ha scambiato con San Filippo Neri, l’apostolo educatore romano, ha acquistato nei secoli fama di gran traumaturgo e protettore degli oppressi. Secondo lo storico Giuseppe Pitrè, anticamente era considerato “il protettore degli scemi, degli ossessi, degli alienati e di quanti sono affetti da malattie inguaribili od arcane”.
Ed è per questo motivo che sono a migliaia i devoti che giungono ad Aidone oggi come ieri, pellegrini che arrivano da ogni parte della Sicilia “quelli scalzi, spedarti, che vanno ad offrire braccia, gambe, piedi ed altre parti del corpo in cera; più notevoli i nudi di Piazza Armerina e Barrafranca e di altri paesi, che come quelli di Palagonia e Melilli, vanno a sciogliere le prummissioni, cioè il voto”. Un alone di mistero e di fascino avvolge la figura di questo Santo, accresciuto ancor più dall’aspetto della statua: un volto nerissimo come la pece in netto contrasto col bianco degli occhi fieri ed acuti “strabuzzati” e il giallo oro della clamide, un aspetto quasi impressionante. Gli abitanti di Piazza Armerina “motteggiano gli aidonesi per questa insigne festa, e lo fanno dicendo loro: Sanàastuu? (Siete voi guarito) anche se una leggenda narra che nottetempo i piazzesi, penetrati in chiesa, rubarono la statua del Santo; il giorno seguente, gli aidonesi accortisi della mancanza armati di “falci, falcetti, roncoli e bastoni, rifecero la strada del Santo e, data una lezione ai profanatori, riportarono in Aidone il nerissimo Santo, con grande scorno e rabbia dei piazzesi”.

E questa sarebbe la ragione per cui ogni volta che il Santo viene sceso dal piedistallo, per farlo uscire dalla chiesa, “bisogna stare attenti a non fargli vedere la strada di Piazza Armerina, perché se no, chiamato chissà da qualche rapido risveglio di ricordi, egli scappa e buona notte a chi resta”. Anche se non si sente più quello “strano rumore di ferri che si urtano e annunziano l’arrivo dei grandi penitenti che trascinano pesanti catene impostesi volontariamente per ammenda di gravi falli o per ringraziamento di favori ricevuti, superiori ad ogni previsione” o quelle “strida di povere isteriche, sedicenti o pretese indemoniate, le quali vengono spinte in chiesa o dietro la statua del Santo in processione” che davano alla festa un aspetto quasi medioevale, anche per la presenza di medici e sacerdoti in attesa di verificare le guarigioni, la chiesa affollata di pellegrini e illuminata da migliaia di ceri portati in voto e la richiesta continua di grazie, sono indici di un culto che non può morire. Anticamente, poiché l’1 maggio era la festa di “quasi tutti i forestieri, che accorrono dalla provincia e fino dai paeselli più lontani” gli aidonesi rivedevano il Santo “l’ultima domenica del mese, nella medesima ora che uscì per la sua festa (12 m), ricondotto fuori, posto per poco oltre l’abitato, nel piani di un vecchio diruto castello, dominare mezza Sicilia, e con la sua reliquia benedire i campi e i giardini e rendere prospere le messi e fruttiferi gli alberi, speranza di buoni raccolti”.
Nino Costanzo