“Il film “La masseria delle allodole” dei fratelli Taviani è tratto dall’omonimo romanzo di Antonia Arslan, scrittrice italiana di origine armena, pubblicato nel 2004.
Nel film i fratelli Taviani raccontano, attraverso le vicende di una famiglia, il secondo genocidio del popolo armeno da parte del partito dei Giovani Turchi nel 1915 durante la Prima Guerra Mondiale. Il primo genocidio c’era già stato nel 1894.
Nella Grande Turchia, che volevano costruire i Giovani Turchi, non doveva esserci posto per gli armeni, popolo di religione cristiana.
In quegli anni viveva in una città turca la famiglia benestante degli Avakian. La scomparsa del più anziano degli Avakian, una sorta di patriarca, fu una grave perdita per la famiglia. Ai funerali partecipò anche il comandante della guarnigione turca, il colonnello Arkan in segno se non di amicizia almeno di reciproco rispetto tra le due comunità turca e armena.
Ma per i Giovani Turchi alla guida dell’Impero Ottomano, che perseguivano il disegno di pulizia etnica, doveva esserci posto nella Grande Turchia solo per i turchi.
Non condividevano questa politica dei Giovani Turchi il colonnello Arkan e l’ufficiale Egon, che intanto aveva intrecciato una relazione con la bella armena Nunik, la nipote del patriarca.
Da Costantinopoli, la capitale dell’Impero Ottomano, giunse nella cittadina dove vivevano gli Avakian un gruppo di militari turchi con l’ordine di uccidere gli uomini e i bambini della comunità armena e di deportare le donne e le bambine armene nella città di Aleppo dove sarebbero state trucidate.
Assadur, il figlio maggiore, che da tempo viveva Padova, dopo aver appreso che la masseria delle allodole era stata lasciata a lui, decise di tornare e riunire la famiglia nella vecchia masseria ristrutturata all’occidentale.
Alla notizia del massacro voleva anticipare il ritorno per aiutare gli armeni. Ma dopo l’entrata in guerra dell’Italia non gli fu possibile.
Il colonnello Arkan tentò di salvare almeno la famiglia Avakian, ma un gruppo di soldati disubbidì ai suoi ordini, si recò alla masseria delle allodole e uccise tutti gli uomini. Intanto Egon e Nunik tentavano la fuga, ma furono scoperti”.
Egon fu mandato al fronte a combattere contro i Russi e Nunik assieme alle altre donne armene fu condotta ad Aleppo attraverso il deserto e sotto la sorveglianza dei soldati turchi.
Sotto le mura di Aleppo le donne subirono ogni sorta di maltrattamento e di violenze. Per procurare da mangiare ai bambini, Nunik tentò persino di prostituirsi ad un soldato turco, Youssuf, che in sussulto di solidarietà e dignità le diede cibo e vesti senza chiedere nulla in cambio.
I due strinsero un patto: in caso estremo, per evitarle inutili sofferenze della tortura, Youssuf avrebbe ucciso Nunik.
Nunik tentò la fuga, ma venne scoperta e condannata al rogo. Per evitarle le atroci sofferenze del rogo, Youssuf uccise Nunik.
Finita la guerra, quattro anni dopo, Youssuf si autodenunciò di questo orrendo crimine in un processo.
Silvano Privitera