Enna. Un clown per amico: concluso il laboratorio teatrale di Bevilacqua

Enna. Si è concluso venerdì il secondo dei quattro laboratori di tecniche teatrali per il sociale che rientrano nella terza edizione di “Un clown per amico” voluto dall’assessorato alle politiche sociali del comune di Enna, e proposto dall’associazione “Tatri del cielo” di Walter Amorelli nelle sedi della Casa di Giufa’ ad Enna bassa e del centro polifunzionale ad Enna alta; e i cui destinatari sono: attori, insegnanti, operatori sanitari e sociali, studenti delle scuole medie inferiori e superiori.

Dopo il primo laboratorio tenuto da Dandy Danno e Diva G. lo scorso ottobre, è stata la volta di Pierluigi Bevilacqua.

Attore, formatore e regista, fondatore della compagnia Impertinente di Foggia, di cui è direttore artistico, Bevilacqua è inoltre  direttore artistico del premio Lupo e lo è stato del festival itinerante Roseta Sbanda; ha ideato e diretto, tra gli altri, “I don’t care” che ha avuto numerosi riconoscimenti internazionali, in festival in cui si è imposto come miglior spettacolo e best performance.

Ad Enna, quest’anno, al Festival Talè Talè Talìa, il regista foggiano insieme alla sua compagnia ha fatto bottino di premi con “The chinese whispers”  aggiudicandosi il  premio Miglior spettacolo, il Premio Miglior regia con lo stesso Bevilacqua, il premio Miglior attore  protagonista con Giammarco Pignatiello, il premio Miglior attrice protagonista con Simona Bordasco.

All’interno del festival è inoltre nata una residenza di sei giorni che ha portato alla messa in scena della performance: “DNA. Dove nascere ancora”.

 

Pierluigi Bevilacqua, partiamo da qui, da questo laboratorio, cosa cercavi, e cosa e chi hai trovato?

Quando faccio i laboratori, per quanto mi riguarda, cerco sempre dei cittadini, perché credo che il teatro formi cittadini. Quindi, ogni volta che lavoro con persone diverse cerco di dare loro e di ricevere una motivazione vera per cercare di crescere. Il palco non è soltanto l’atto teatrale ma è un posto in cui si superano i propri limiti, ci si misura con l’ostacolo e le difficoltà, volgendosi all’evoluzione, al cambiamento e alla miglioria.

Come avete affrontato il tema del fallimento nel corso del laboratorio?

Da vari punti di vista: a partire dal corpo, dalla discussione semplice su quello che per ognuno dei partecipanti era il fallimento, l’idea di fallimento che  è diversa in ognuno di noi, l’esperienza cambia molto il punto di vista.

Abbiamo provato a mettere su una piccola performance che potesse, in qualche modo; tramite il corpo, le movenze corali, piccoli espedienti anche di improvvisazione; dare l’idea, a livello emotivo anche, di quello che  può significare il concetto di fallimento.

Qual è la relazione fra il Fallimento e i social network, tema quest’ultimo di uno tuo spettacolo “I don’t care”?

Qui, il discorso si amplia, io credo ci sia un fallimento a livello di costruzione di relazioni, un consumismo delle emozioni dilagante, cioè non si ha la qualità delle emozioni.

Il consumismo delle emozioni deriva dalla possibilità, illusoria, che ce ne sia sempre un’altra a disposizione dietro l’angolo. E quindi il fallimento non è più una occasione di crescita ma una sostituzione di un prodotto emotivo di relazione con un altro.

Hai definito il “teatro come arma di costruzione di massa”. In che senso?

Perché credo sia uno degli ultimi avamposti del costruire qualcosa di vero in una società estremamente ridotta a brandelli, qualcosa di comunitario, cioè un ideale di comunità che non diventa circolo chiuso o massa chiusa ma piuttosto diventa una possibilità di relazione e di crescita; non deve essere un modo per appartenere per forza a qualcosa in modo rigido, ma la capacità di pensare, vivere in un mondo capace di dare possibilità emotive e reali ma anche utopiche nel senso buono del termine.

DNA. Da dove può nascere ancora il teatro e l’uomo?

All’interno e delle relazioni, i nuclei classici restano quelli: famiglia, scuola, anche quartieri, parrocchie che avevano una funzione sociale molo efficace; l’oratorio aveva un senso perché oltre ad allenare ad alcune discipline restava un luogo in cui un certo tipo di cultura teneva fuori da altre devianze i ragazzi, quindi si, all’interno delle relazioni, dell’ascolto, del tempo che deve essere un po’ più dilatato; non è possibile vivere le esperienze sempre a velocità estrema senza neanche comprenderle, senza dare il tempi a se stessi, soprattutto, di capire quello che si sta vivendo

Progetti per il futuro invece, a cosa stai lavorando?

Sento la necessità di guardare altrove; e lo abbiamo già fatto con la Compagnia Impertinente; di andare all’estero. Nutro il desiderio di vivere anche dei mesi fuori con progetti europei capaci di unire culture teatrali completamente lontane e cercare un modo di comunicare che vada oltre le parole. Mi sto spingendo verso un teatro che abbia meno parole possibili, anche se, ovviamente non sempre così’ perché l’ultimo lavoro di Pinocchio è un lavoro di testo abbastanza complesso.

Mi piace però pensare che le parole possano non servire a volte, per l’idea di andare oltre la comprensione della lingua e tutto ciò che diamo ad una parola stessa; il linguaggio può essere anche visivo, gestuale, emotivo, narrativo senza per forza implicare l’uso delle parole.

 

Il terzo laboratorio si terrà dal 18 al 26 novembre 2019 il laboratorio con l’attore Horacio Oscar Czertok, dalle 15 alle 19.30 al Centro Polifunzionale – Enna (Via dello Stadio).

Mentre il corso per studenti delle scuole medie inferiori contro il bullismo si terrà dal 2 al 6 dicembre 2019 e sarà condotto da Danny Danno e Diva G (Theatre Degart).

 

Livia D’Alotto