Primo David, ideatore del “Treno Museo” a Villarosa, ricorda la strage alla stazione di Bologna

“E’ una ferita rimasta aperta, mai rimarginata e nonostante siano passati 40 anni, i ricordi sono sempre vivi, crudi e indelebili”. A parlare è il capostazione Primo David, ideatore del “Treno Museo” di Villarosa, da dieci mesi in pensione, che il 2 agosto del 1980, giovane ferroviere di appena 24 anni, alla stazione di Bologna e con un megafono, corre e chiede a gran voce una bombola di ossigeno per un ferito molto grave. Un fatto, questo, documentato nei filmati della Rai che la stessa riproporrà per il quarantesimo anniversario della strage di Bologna. Come si ricorderà, alle 10 e 25 di quel giorno, un boato enorme squarciò l’aria. La bomba esplosa nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna, affollata di turisti, contenuta in una valigia abbandonata, provocò 85 morti e più di 200 feriti, aprendo una delle pagine più sanguinose della storia italiana. “Quei morti, a distanza di quarant’anni – dice David – non hanno ancora giustizia perché sui mandanti è ancora mistero e questo fa tanta rabbia e tristezza. I ricordi di quella strage sono rimasti impressi nella mia mente; si vivono sempre quei momenti, non si dimenticano e fanno tanto male, non solo in chi come me li ha vissuti, ma soprattutto ai familiari di coloro che non ci sono più”. E’ la prima volta che Primo David, come testimone diretto, senza non poca difficoltà, ricorda quel tragico evento. “Quel ferroviere che nel filmato con il megafono chiede una bombola di ossigeno ero proprio io. Quella mattina -racconta – non ero in servizio e fortunatamente mi sono salvato perché avevo un invito a pranzo. I carabinieri mi sono venuti a prelevare alle 11 e un quarto nel paese in cui abitavo perché vi era bisogno di un funzionario delle ferrovie che parlasse la lingua tedesca. Questo perché il treno Rimini/Basel Bad Express, fermo sul primo binario, a causa della deflagrazione fu preso in pieno, causando morti e feriti. Era il treno che da Rimini a Basilea, passando da Bologna e Milano, trasportava molti turisti tedeschi che soggiornavano nella riviera romagnola. Nel momento in cui sono stato ripreso con il megafono, datomi dalla polizia ferroviaria, avevo assunto la responsabilità del piazzale per la decongestione dei feriti e dei morti. Furono momenti indescrivibili, concitati e quando mi sono accorto che le ambulanze non bastavano sia per il trasporto dei feriti che dei morti, con l’ausilio della polfer e degli autoferrotranvieri dell’Atc, ho spiombato il vano di una vettura cuccetta ferma al tronchino. In quel vagone abbiamo sistemato provvisoriamente, comprendo pavimento e finestrini con delle lenzuola prelevati dall’infermeria della stazione, i morti. Poi con il bus numero 37, a poco a poco li abbiamo trasportati in diverse camere mortuarie degli ospedali della città. Quel giorno incrociai lo sguardo di tantissime persone e non posso mai dimenticare quante volte ho dovuto tradurre agli ospiti stranieri in quale ospedale di Bologna erano stati trasportati i parenti feriti. Mi è rimasto di quell’evento anche un piccolo trauma. Se vado al bar non mi faccio mai servire un caffè in una tazza marrone e bianca all’interno. Mi ricorda una signora ferita che gridava “Hilfe, Hilfe” (aiuto, aiuto) accasciata sul bancone del bar della stazione, con una tazzina macchiata di sangue. La direzione compartimentale bolognese delle Ferrovie dello Stato -conclude David – ha ricevuto il plauso dell’allora presidente della Repubblica, Sandro Pertini (ci ricevette al Quirinale e mi abbracciò) e del sindaco di Bologna, per l’impegno profuso di noi ferrovieri e il premio in denaro fu devoluto, tramite il Resto del Carlino, alle famiglie della strage della stazione”.

Giacomo Lisacchi