Nicosia. Presepe del CTA La Pagoda: riflessioni

Nicosia. Questo è senz’ombra di dubbio uno dei Natali più strani e particolari vissuti negli ultimi anni. Sicuramente il più strano di questo terzo millennio ancora praticamente all’albore. Anche nei periodi più bui il Natale ha rappresentato un momento di luce. È troppo facile (ma lo facciamo lo stesso) richiamarsi a quel Natale del 1914 quando, durante la prima guerra mondiale, i soldati degli opposti schieramenti decisero di condividere tra loro il Natale e quindi fraternizzare, riscoprendo il vero spirito del Natale non in quella matrice consumista ma proprio nella solidarietà e nell’elevazione della persona umana sopra tutte le miserie che la stessa persona umana compie. Oggi, sebbene i contesti sono ovviamente cambiati, non mancano episodi degni di profonda riflessione da poter trovare in ogni angolo. Sta a noi, avendo preso la responsabilità di “osservare il mondo”, andarli a scoprire, svelarli e, perché no, valorizzarli nell’ottica di rendere un buon servigio a chi ci legge e a chi ci permette di riflettere. In questo caso stiamo a parlare nuovamente del silenzio umile di un presepe, nello specifico il presepe del CTA della Pagoda realizzato dai vari ospiti della struttura. Un presepe per certi versi strano ma carico di significato. Non vediamo una mangiatoia in un punto preciso che la nostra mente rimanda a Betlemme, ma vediamo tutta la scena della natività svilupparsi su tutta la penisola italiana con la Sicilia contemporanea Betlemme. Chiaro messaggio di unione da Nord a Sud nel vivere tutti come fratelli e nell’essere sulla stessa barca. Forse il virus è riuscito a fare ciò che non è riuscito a fare la storia (se non ogni tanto qualche mondiale di calcio): riscoprirci popolo italiano di sangue, di lingua, di tradizione e potremmo continuare con tutto quella meravigliosa opera del Manzoni. Il virus ci ha fatto riscoprire i nostri limiti ponendo un freno alla nostra volontà di “giocare a fare Dio”. Basta un niente per far capovolgere tutti i nostri progetti. Il Virus ci ha scoperti deboli, anzi ha scoperto la nostra solitudine. Perché soffriamo la solitudine nonostante i social? Ebbene, perché i social non sono veri rapporti, non sono vere amicizie, non è vero confronto. I Social sono una maschera nella maschera che indossiamo ma che, alla fine, neanche un abbraccio riescono a darci. Ecco quindi che gesti piccoli come questi, dietro cui si nasconde la solidarietà ma anche il senso di comunità e il desiderio di non lasciare dietro nessuno, sono esempi a cui dobbiamo prostrarci in religioso silenzio per chiederci dove abbiamo sbagliato e se è ancora possibile poterci correggere. Ebbene, questo presepe, questi gesti di cui vi notiziamo e vi abbiamo notiziato, sono una risposta di speranza: possiamo ancora salvarci, possiamo ancora tornare indietro e riscoprire la nostra vera essenza di uomini non come macchine produttrici ma come scrigni di emozioni e vita.

Alain Calò