Razzo cinese rientrato sull’Oceano Indiano. Detriti spaziali: il problema della nostra generazione

Alle 4.45 di questa mattina era ben visibile su Roma a occhio nudo. Il secondo stadio del razzo cinese Lunga Marcia 5B è rientrato nell’atmosfera sull’Oceano Indiano, in un’area vicina alle isole Maldive. Lo rende noto l’ufficio per il volo umano dell’agenzia spaziale cinese Cnsa. Il rientro è stato confermato anche dai dati del Comando di Difesa Aerospaziale del Nord-America (Norad). Rispetto alle stime iniziali, indicavano come probabile punto di rientro, anche il bacino del Mediterraneo. Il tavolo tecnico del Dipartimento della protezione civile aveva già escluso l’interessamento del territorio italiano, dichiarato concluse le attività operative, e chiuso il Comitato Operativo.

In queste ore siamo stati tutti concitati e impauriti a causa di possibili “cadute” di frammenti provenienti da uno stage di lanciatore cinese che è andato “fuori controllo”. Ora, partendo dal presupposto che è molto remota la possibilità che un frammento colpisca il nostro Paese, merita comunque interesse la “salute” del nostro cielo per quanto concerne la presenza, ormai purtroppo troppo massiccia, dei cosiddetti “detriti spaziali”. Il detrito spaziale è vera e propria spazzatura, perché non è altro che un oggetto prodotto dall’uomo e che orbita intorno alla Terra senza che però tale oggetto sia più utile a qualcosa. Da cui un detrito spaziale può essere un satellite non più operante, uno stage di un lanciatore, scaglie di vernici, materiale particellare prodotto dalla propulsione e così via. Fino agli anni ’50 del secolo scorso il nostro spazio era “pulito”, in quasi mezzo secolo siamo praticamente immersi. Secondo una catalogazione, sono circa 9000 i detriti spaziali che sono più grandi di 20 cm. Di questi 9000 possiamo anche individuare delle “famiglie” di provenienza, infatti circa il 22% sono satelliti ormai non più funzionanti il 17% è costituito da stadi propulsivi di razzi che sono rilasciati nel lancio, il 13% è costituito invece da elementi che si usano normalmente sui satelliti artificiali quali bulloni, coperture termiche, o semplice scaglie di vernice. È comunque interessante valutare anche che il 43% circa è costituito da frammenti dovuti a circa 150 esplosioni e a pochissime collisioni, 2 o 3 al massimo. Questi 9000 detriti, grazie alla loro grandezza, possono essere catalogati e osservati mediante tecnica radar (ed esistono centri specializzati per far ciò come vicino a Bonn), ma anche attraverso i telescopi.
Oltre a questi 9000 detriti dalla grandezza di 20 cm, dobbiamo tenere in considerazione oggetti più piccoli che, purtroppo, non possono essere osservati e catalogati ma solamente stimati. E, secondo queste stime, esistono decine di migliaia di oggetti di dimensioni inferiori, dai 10 cm fino a 1 cm, spingendoci addirittura a parecchi miliardi di oggetti minuscoli, tra 0,1 mm e 1 cm. Direte voi: “E che sarà mai un oggetto di 0,1mm?” Questo “che sarà mai” non deve essere sottovalutato perché pur se parliamo di dimensioni ridotte, l’elevatissima velocità relativa, circa 10 km/s, nel caso di una collisione in orbita bassa, una particella di solo 1 grammo equivale a un’automobile lanciata in corsa. Fortunatamente “siamo corsi ai ripari” e le costruzioni spaziali mandate in orbita sono progettate per poter essere abbastanza resistenti alle piccole collisioni (che avvengono), oltre al fatto che, nella peggiore ipotesi di un eventuale scontro più importante, si possono attuare manovre di correzione orbitale.
Ovviamente, essendo rifiuti e data l’imponenza del numero di questi rifiuti e delle conseguenze che si possono avere, bisogna cercare di inquinare meno il nostro spazio. Inizialmente si era pensato di mettere “sotto il tappeto” i detriti attraverso il meccanismo delle orbite cimitero, ma giustamente anche lassù, come quaggiù, a lungo andare ci potrebbero essere problemi con i “loculi”. L’Esa, la nostra Agenzia Spaziale Europea, seppur inquina per il solo 3%, sta mettendo in atto azioni per poter abbattere la creazione di detriti, quali ad esempio far ritornare sulla Terra satelliti che hanno completato il loro ciclo operativo. Serve, comunque, un impegno globale e che l’Onu riconosca la necessità di uno Spazio pulito. Serve una presa di coscienza chiara da parte di Stati Uniti e Russia, maggiori produttori di detriti, su questa interessante tematica.
Lo Spazio, come la nostra Terra, è bene di tutti e sta a noi prendercene cura.

A cura di Alain Calò