Covid, Razza “Chiedo scusa per frase infelice”

CATANIA (ITALPRESS) – “Non ho avuto occasione, per la mia immediata decisione di dimettermi, di scusarmi e lo faccio adesso, per la velocità con cui mi sono espresso nell’utilizzare il termine ‘spalmarè riferendomi ai dati di più giorni dei deceduti. Una frase infelice. Il senso ovviamente era quello di considerare prevalente l’effettiva ripartizione del dato sull’indicazione del bollettino giornaliero”. Lo ha detto, in un’intervista al quotidiano La Sicilia, l’ex assessore regionale alla Sanità Ruggero Razza. L’avvocato catanese, si è dimesso lo scorso 30 marzo perchè indagato nell’inchiesta della Procura di trapani (poi passata a Palermo) sui presunti falsi nei dati Covid che coinvolse i vertici della sanità siciliana nella bufera pure per le intercettazioni-shock. “Mi ha colpito la costruzione mediatica – ha aggiunto – perchè mi sembrava chiaro quale fosse l’intento. Qualche giorno fa, in Corte d’Appello a Catania, conclusa la requisitoria del procuratore generale, il presidente di turno ha invitato gli avvocati difensori a ‘spalmarè le arringhe su più udienze perchè erano troppi. L’avvocato Enrico Trantino era in aula e si è fragorosamente opposto all’utilizzo del termine, con il garbo e l’iro – nia che tutti gli riconoscono. A parte questo, il mio sentimento di rispetto va a tutte le vittime e ai loro familiari. Ed è pari al sentimento di stima profonda per la professionalità con cui gli operatori siciliani della sanità hanno indossato il camice e la tuta e sono scesi in trincea. Gli assessori passano, loro restano…”.
La vita dell’ex assessore Razza? “E’ cambiata profondamente. Ed è stata anche l’occasione per una riflessione, libera da qualsiasi condizionamento, sulle priorità che negli ultimi anni nella mia vita avevano preso il sopravvento. Ma è giusto anche comprendere perchè ho deciso nell’immediatezza di dimettermi. Anzitutto perchè, come tutti sanno era un momento della mia vita molto particolare nel quale avevo il dovere immediato di restituire condizioni di serenità alla mia famiglia. E poi perchè, anche per ragioni legate alla mia professione, comprendevo che il rispetto delle istituzioni mi imponeva di consentire un primo approfondimento dell’indagine, potendo contribuire io stesso a chiarire alcuni aspetti che, nell’immediatezza, anche il clamore non avrebbe consentito di potere spiegare”.
(ITALPRESS).