Zone franche montane utili, ma da sole non bastano ad arrestare ed invertire la tendenza al declino

Con l’individuazione dei 159 comuni siciliani che andranno a costituire le zone franche montane, il presidente della Regione Siciliana, Musumeci, ha compiuto l’ultimo passaggio per completare il disegno di legge dell’Assemblea regionale siciliana contenente disposizioni per l’istituzione delle zone franche montane in Sicilia sottoposto all’approvazione del Parlamento nazionale. Non si conoscono ancora quali sono questi 159 comuni. Lo sapremo tra non molto, non appena verrà pubblicato il decreto del presidente Musumeci che fa proprio l’elenco di questi comuni proposto dall’assessore alle attività produttive e approvato dalla giunta regionale. Il disegno di legge prevede agevolazioni in favore delle imprese insediate nei comuni con popolazione inferiore a 15 mila abitanti e posti sopra i 500 metri di altitudine sul livello del mare (slm). Il comma 3 dell’articolo 5 del disegno di legge precisa che possono beneficiare delle agevolazioni fiscali solo le attività dell’impresa insediate sopra i 500 metri slm. Questo significa che quelle attività insediate in luoghi al di sotto dei 500 metri slm ne sono escluse, anche se il comune rientra in una zona franca montana. E’ un dettaglio da non trascurare per evitare interpretazioni non corrette di un disegno di legge finalizzato al rilancio delle zone interne della Sicilia e contrastarne lo spopolamento. Non sempre, però, zone interne e zone montane coincidono. Ma basta un provvedimento del genere per ridurre l’isolamento e la marginalità delle zone montane? E’ un provvedimento utile, ma da solo non basta. Occorrono politiche che assicurino condizioni di vita e di lavoro agli abitanti dei comuni delle terre alte, come vengono anche chiamate in tono poetico le zone montane. La marginalità e lo spopolamento delle “terre alte” si contrastano con politiche di mantenimento dei servizi che ne aumentino l’attrattività. Nelle città ce ne sono di quelli che vogliono lasciarla per sperimentare nuovi modi abitare e di produrre nelle zone montane dove c’è tranquillità, buona qualità dell’aria, rarefazione sociale e bassa densità abitativa, che da fattori di debolezza possono trasformarsi in vantaggi competitivi. Le zone montane sono in relazione con le aree urbane ubicate a valle. Non si può prescindere da questa relazione che fino ad oggi si caratterizza per una dominanza della realtà urbana su quella montana. Il rapporto tra le due aree deve essere potenziato, ribaltando la logica della dominanza, in termini di scambi (lavoro pendolare e servizi ecosistemici) e con politiche di equità sociale e cooperazione. Ma, questo, i comuni montani non possono farlo singolarmente e in ordine sparso. Hanno bisogno di organismi istituzionali collettivi di livello intermedio dotati di autonomia funzionale, come lo erano in passato le comunità montane.
Silvano Privitera