“Ho visto Nina volare… la venditrice di cicoria e altre storie”, il nuovo libro di Aldo La Ganga

È uscito in questi giorni l’ultimo libro di Aldo La Ganga dal titolo “Ho visto Nina volare… la venditrice di cicoria e altre storie” pubblicato dalla casa editrice Armano Siciliano. Questo è un libro che si assimila piano piano. È un testo intimo, psicologico, sociologico. Un testo pieno di ricordi reali e immaginifici, storici, idealizzati, umanizzati e, volutamente o meno, resi universali. Di qual paese stiamo parlando? Chi vive in prima persona dentro quel testo sa bene il nome del luogo in cui tutto si snoda. Altrimenti tutti questi personaggi, questi luoghi, queste interviste “impossibili” potrebbero benissimo essere presenti e avvenire sia nel Nord che nel Sud d’Italia. Sia in America che in Giappone. Ed è questo, sicuramente, il primo merito di questo libro: evocare il ricordo di gente che sta a noi credere o meno veramente esistita e con queste fattezze, caratteri, vizi e virtù, e renderle immortale grazie a quell’eredità di affetti di foscoliana memoria. Anche il tempo, all’interno del libro, sembra fermarsi e correre, nello stesso momento, in maniera veloce e irrefrenabile. Il lettore è proiettato letteralmente in una dimensione “altra”: in un mondo parallelo che, nella semplicità del piccolo racconto, e qui chapeau all’Autore per la grande maestria dimostrata, “vive” in una dimensione indipendente da noi stessi. I contorni non si vedono, come nelle fotografie di un racconto che troverete, ma si percepiscono delineati in maniera particolareggiata. In questo libro si riesce a sentire persino il caldo, il freddo e il profumo delle leccornie o del caffè che si trovano a casa o nel bar dove si intervista questo o quel personaggio. Personaggi che escono dalle pagine e quasi si rivolgono a noi. Si rivolgono come nostri vicini, fratelli, amici, conoscenti, gente che non c’è più e di cui sentiamo il bisogno di avere ancora tra noi. Chi legge questi racconti, sicuramente, spesso si troverà ad alzare lo sguardo pensando che accanto ci sia un personaggio presente nel libro. E se non lo si trova accanto, magari è aldilà della finestra. Spalancate quella finestra e troverete ancora una volta Torozzo col suo fischietto, sentirete un comizio di Turiddu Lo Grasso, vedrete “esibirsi” don Filippo Berretta e magari vi commuoverete guardando il cielo cercando di scorgere Nina volare sopra questa città vera, ideale o mai esistita descritta da Aldo La Ganga. Una città fortunata perché amata dal suo autore. E in questo libro è la città la vera protagonista. Una città viva dove il popolo, come il sangue, vivifica le viuzze, i vicoli e le piazze. E in mezzo a questo popolo, l’Autore, come un pascoliano fanciullino, ammira e racconta, descrivendo il vissuto e il presente. E, ancora una volta, sottolineiamo, amando quel luogo in maniera viscerale, tanto da soffrire con e per esso. Ed anche la facezia o la critica all’amministratore o al potente di turno non è un attacco alla persona ma uno scuotimento, quasi a dire “Questo è anche il tuo paese! Amalo!”. “Amalo!”, come un imperativo categorico kantiano, non tanto per ottenere qualcosa dalla stessa città, ma perché è giusto amare la città natale e quindi spendersi fino all’ultimo per essa. Via quindi i saltimbanchi sulla scena ultratitolati che, come i baroni di un tempo, usano la città e il popolo non come fine ma come mezzo. In questo “via” ci sono tutti i nuovi sedicenti baroni: amministratori, politici, clerici, governatori, presidenti, persino capicondomino o capi del coro parrocchiale. “Via” anche le ostentazioni del potere con riti, pratiche, formule, piramidi, pacche, baci, schiaffi, spille, medaglie, medagliette, codici, codicilli, regolamenti che creano una subordinazione di una collettività nei confronti di pochi o, per giunta, uno solo. Ma attenzione, non si cada nel qualunquismo: in questo libro è infatti ben chiaro che tutte la categorie sopradette (e a cui se ne potrebbero aggiungere mille altre) diventano “baroni” quando perdono la cognizione della città e del popolo come organismo vivo e da curare e si lasciano trasportare dai falsi miti terreni del potere, anche quello minimo, anche il più stupido, anche quello di un’associazione non a scopo di lucro o di service, sentendosi un primus inter pares, espressione latina che potremmo tradurre “terra terra” con “io so’ io e voi nun siete…”.
È quindi anche un libro con una morale. Una morale semplice semplice. Ma per scoprirla bisogna acquistarlo e leggerlo.
Alain Calò