BPCO, cambia l’approccio. Due broncodilatatori la nuova terapia standard

VERONA (ITALPRESS) – BPCO, se non è una rivoluzione poco ci manca. E’ la storia della medicina e della scienza in generale: alla scoperta scientifica, ad un nuovo farmaco, fa poi il paio la real life, che insegna, aggiusta in corsa e poi diventa pratica clinica. E’ successo pochi giorni fa con il nuovo report GOLD (Global Initiative on Obstructive Lung Diseases), il documento più importante per la diagnosi, la prevenzione e il trattamento della BPCO. Periodicamente vengono aggiornate da un comitato scientifico internazionale in base alle nuove evidenze e adottate poi dalle principali società scientifiche del settore.
Andiamo subito al punto. Cosa c’è di nuovo? In primo luogo – dicono le GOLD, facendo riferimento ai risultati dello studio EMAX (Early MAXimisation of brochodilatation for improving COPD stability) – per controllare la patologia occorre iniziare con la doppia broncodilatazione, l’associazione tra LAMA e LABA, combinazione che diventa terapia di mantenimento. Ovviamente il quadro va modificato in caso di presenza di quantità elevate di eosinofili nel sangue. Un numero superiore a 300 suggerisce di passare alla triplice terapia, aggiungendo cioè ai LABA LAMA anche l’ICS, il corticosteroide. Rispetto al passato non viene più considerato, o per meglio dire, raccomandato, l’approccio con il solo ICS LABA.
Un altro aspetto sottolineato dalle GOLD riguarda la riduzione del rischio di mortalità, passaggio dirimente in una patologia che oggi rappresenta la terza cause di morte sul pianeta e colpisce nel mondo 380 milioni di persone, l’11,7 per cento della popolazione. A dare evidenza della riduzione del rischio sono solo le triplici, come dimostrato dagli studi IMPACT (fluticasone furoato/umeclidinio/vilanterolo) e ETHOS (budesonide/glicopirronio/formoterolo fumarato), cui le raccomandazioni dedicano paragrafi specifici. Da sempre tra i problemi nelle malattie croniche respiratorie c’è la compliance e di conseguenza l’aderenza. Entrambe sono un pò figlie della semplicità o meno delle cure, tenendo in considerazione che, pur non essendo ormai più una malattia da vecchi, la maggior parte dei pazienti è anziana e magari soffre anche di altre malattie che necessitano interventi farmacologici quotidiani. Un’indagine di DoxaPharma del 2017 su 150 pazienti BPCO, il 39% donne e il 61% uomini, ci fa un quadro interessante della situazione. Dall’anagrafica emerge subito un dato: il 48% ha più di 54 anni ma la maggioranza ha un’età inferiore, il che significa che la BPCO non è più, come sottolineato sopra, una patologia solo dell’anziano. Sette su 10 sono quelli che dicono di aver sofferto di riacutizzazioni. In media da 5 o più dopo la diagnosi (34%) e in 1 caso su 2 con la necessità di rivolgersi al Pronto soccorso. Il capitolo terapia è quello sicuramente che più ci interessa in questo contesto. Nel 90% dei casi viene assunta per via inalatoria: il 62% degli intervistati lo fa tutti i giorni o quasi, il 33% durante la fase acuta e il 5% solo in caso di emergenza. Analizzando i due sottogruppi – riacutizzatori e non – la percentuale di chi si cura regolarmente (o quasi) sale al 69%, 7 pazienti su 10, ma gli altri (27%) solo durante le fasi acute e 4 quando non possono proprio farne a meno. Sette su dieci portano con sè l’erogatore, ma il 62% confessa il proprio imbarazzo ad utilizzarlo in pubblico. Le GOLD ci dicono che proprio per questo medici e specialisti dovrebbero tenere in considerazione le terapie precostituite rispetto alle associazioni estemporanee, vale a dire le terapie contenute in un unico inalatore. Nello specifico le GOLD fanno riferimento ai risultati degli studi IMPACT ((InforMing PAthway of COPD Treatment) e INTREPID ( (INvestigation of TRelegy Effectiveness: usual PractIce Design)che hanno valutato l’efficacia della triplice fluticasone furoato/umeclidinio/vilanterolo.
In ultimo, le nuove raccomandazioni puntano l’attenzione sul rischio di riacutizzazione e di peggioramenti, che possono essere contrastati con trattamenti su misura da studiare caso per caso e con terapia a salire se si riscontra un non adeguato controllo della patologia.
La Broncopneumopatia cronica ostruttiva è una patologia comune, caratterizzata da una persistente limitazione del flusso aereo, in genere progressiva e associata a un’aumentata risposta infiammatoria cronica a particelle o gas nocivi a livello delle vie aeree e dei polmoni. Si presenta tipicamente nei pazienti di età superiore a 40 anni e prevalentemente nei fumatori o negli ex fumatori. Oltre all’anamnesi di tabagismo e all’età, altri fattori di rischio includono l’esposizione a particelle occupazionali, fattori genetici e asma. Il declino della funzionalità polmonare è una caratteristica clinica chiave. La gravità è molto variabile e può essere lieve, moderata, grave o molto grave. Anche le riacutizzazioni, eventi cioè acuti di peggioramento dei sintomi respiratori oltre le normali variazioni quotidiane e i sintomi della malattia sono caratteristiche cliniche importanti e influenzano i pazienti in tutti i gradi di severità della malattia.
Si stima che siano oltre 380 milioni le persone in tutto il mondo interessate dalla BPCO, corrispondenti a una prevalenza globale dell’11,7%. I pazienti con BPCO da moderata a grave rappresentano il 70% del totale. Secondo i dati ISTAT, in Italia la
broncopneumopatia colpisce il 5,6% degli adulti (circa 3,5 milioni di persone) ed è responsabile del 55% dei decessi per malattie respiratorie.
Come ha sottolineato Alberto Papi, direttore della Clinica Pneumologica dell’Università di Ferrara, nel corso dell’evento “Le Linee Guida Gold” che si è svolto a Verona, “c’è in sostanza un capitolo nuovo sulle opzioni terapeutiche e non terapeutiche in grado di ridurre la mortalità nei pazienti con BPCO e parliamo di terapie inalatorie triplici con Laba Lama e steroidi inalatori e tutta una serie e altri interventi, dalla riabilitazione alla sospensione del fumo, che hanno evidenze forti sulla riduzione della mortalità”.
Risulta invece difficile intercettare i pazienti affetti da BPCO per far intraprendere loro un percorso di cura adeguato. “I pazienti che hanno episodi clinici come tosse e catarro, fatica a respirare, bronchiti ripetute, spesso vengono trattati come episodi – sottolinea Papi -, senza considerare che sono parte della patologia che evolve. Il trascurare che sono parte della storia e di trattarla, porta a identificare i pazienti anche anni dopo l’inizio della sintomatologia”. Smettere di fumare, invece, è fondamentale. “Il rischio del fumo innesca il processo della BPCO e la sospensione del fumo non evita la progressione – ammonisce Papi -. Quello che cambia è la rapidità della progressione. Il fumatore ha una perdita di funzionalità respiratoria, tutti la perdiamo con l’età, ma nei fumatori è decisamente accelerato. Nel paziente BPCO che smette di fumare, la progressione torna a livelli normali: quello che si è perso si è perso, non è reversibile, ma cambia la pendenza, con la sospensione del fumo, che non è solo preventiva, ma è trattamento, è prevenzione secondaria, uno degli interventi più efficaci nel ridurre la mortalità”.

– foto ufficio stampa GSK –
(ITALPRESS).