D’Angelo, l’uomo di fede che sfidò la mafia

Sono trascorsi centodieci anni dalla sua nascita e trentatré dalla scomparsa, ma la figura dell’ex presidente della Regione Siciliana, Giuseppe D’Angelo, rimane ancora impressa nella mente di tanti studiosi, politici e semplici cittadini. Lo dimostra il fatto che, dopo oltre un secolo dalla sua nascita, un convegno, tenutosi ieri nella sua Calascibetta e organizzato dal Centro Studi Med. Mez. “Napoleone Colajanni”, con il sostegno delle Istituzioni regionali e dell’Università Kore di Enna, ha voluto ricordare l’uomo di spicco dell’allora Democrazia Cristiana, presidente della Regione Siciliana dal 1961 al 1964, con il primo governo di centrosinistra (Dc-Psi), e sindaco della sua amata Calascibetta, paese dove è nato il 15 novembre del 1913 e al quale D’Angelo ha dato lustro permettendo a molte famiglie di vivere una vita agiata.

Si schierò contro i cugini Salvo

Definito un “galantuomo”e “uomo di fede”, D’Angelo fu il politico che sconfisse il “Milazzismo” e si schierò contro lo strapotere degli esattori delle tasse in Sicilia, i cugini Antonino e Ignazio Salvo, quest’ultimo condannato per associazione mafiosa. In pochi sanno che il pentito di giustizia Antonino Calderone, durante una sua audizione, ha detto che Cosa Nostra regionale aveva decretato l’uccisione di D’Angelo.

Svelò gli intrecci tra politica e mafia

Era stato il politico ennese, sostenendo una mozione capeggiata da socialisti e comunisti, a chiedere al Parlamento nazionale l’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia. Commissione che si insediò a seguito della strage di Ciaculli avvenuta a fine giugno del 1963. Moralizzatore della vita pubblica, Giuseppe D’Angelo rese la vita difficile a molti malfattori. La rese quasi impossibile soprattutto ai due esattori delle tasse, Antonino e Ignazio Salvo, amici di Salvo Lima. D’Angelo voleva che si indagasse sull’intreccio mafia-politica nella gestione degli enti pubblici. Il piano di fuoco contro D’Angelo non ebbe
seguito perché -continua il pentito Calderone- si oppose l’allora referente provinciale Ennese di Cosa Nostra. Se da un lato gli fu salvata la vita, dall’altro, le forti pressioni mafiose, che arrivavano dal palermitano e dal trapanese, decretarono la fine della ascesa politica di D’Angelo. In occasione delle elezioni regionali del 1967- hanno riferito alcuni collaboratori di giustizia- in provincia di Enna fu immesso in circolazione del denaro al fine di indurre gli elettori a votare candidati diversi dall’esponente politico della Democrazia cristiana.

Ostacolato da Cosa nostra

Non fu eletto all’Ars per volontà della mafia, ma lo spessore etico-politico gli permise di continuare a lavorare per il Paese. Fu infatti eletto segretario regionale della Democrazia Cristiana e per volontà di Aldo Moro fu nominato componente della direzione nazionale del partito con un importante incarico che interessava gli Enti locali. Nel contempo fu anche nominato presidente nazionale dell’Inadel. Come a
voler dire che D’Angelo perse la battaglia ma non la guerra. Ricoprì infatti anche la carica di presidente della Siciliana Gas. Calascibetta fu così il primo paese della Sicilia ad avere il metano. Amico di Bernando Mattarella, uno dei padri costituenti della nazione e padre dell’attuale Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dell’onorevole Giuseppe D’Angelo si ricorda anche la sua battaglia politica contro il “Milazzismo”, un movimento politico che faceva capo a Silvio Milazzo, quest’ultimo guiderà la Regione tra il 1958 e l’inizio del 1960, perché “appoggiato- scrive nel suo libro Franco Nicastro- anche da potenti famiglie mafiose del palermitano e trapanese”.

Lo scontro con Milazzo

A D’Angelo il compito di dimostrare che alcune operazioni politiche di Milazzo erano spregiudicate e illegali. “All’Assemblea regionale- scrive ancora Franco Nicastro- il difficile momento politico diventa grottesco quando dalla lettura del decreto assessoriale si apprende che il neo consultore della provincia di Messina è il “signor Signorino Scarlata”, un contadino che a Calascibetta conduce a mezzadria un terreno di D’Angelo”. L’operazione politica dimostrò la spregiudicatezza di Milazzo, il quale, pur di raggiungere l’obiettivo, non si era neppure informato chi fosse Scarlata. Inoltre alcuni documenti mostrati all’Ars dall’Onorevole Santalco dimostrarono che diversi deputati regionali, che appoggiavano il governo Milazzo, si spostavano da un gruppo politico all’altro in base alle pressioni finanziarie e alla acquisizione di vantaggi personali. La notizia balzò anche sui quotidiani nazionali, così il governo fu costretto a dimettersi dando fine anche al “Milazzismo”.

Un filo rosso di legalità- si è detto- legava Giuseppe D’Angelo, Pier Santi Mattarella e Aldo Moro. Politici d’altri tempi, con l’obiettivo primario dello sviluppo del nostro Paese. A ricordare l’ex presidente della Regione Siciliana, a Calascibetta è arrivato l’ex ministro Salvo Andò, lo storico dell’Università di
Catania Andrea Giuseppe Cerra, Giuseppe Pumilia della Fondazione Orestiadi, l’assessore Regionale del Territorio e Ambiente Elena Pagana, nonché le istituzioni locali e provinciali, tra cui il presidente dell’Università Kore, Cataldo Salerno. Seduto in prima fila anche uno dei figli di D’Angelo, Leopoldo. Chi era davvero Giuseppe D’Angelo lo abbiamo chiesto allo storico Andrea Cerra, docente dell’università di Catania, che ha detto: “Il Presidente D’Angelo era considerato da Gaetano La Terza come il Calvinista della politica, per le sue qualità e l’alta statura morale. A lui si deve anche, nel 1961, il primo governo di
centrosinistra, anticipando una sorte di laboratorio politico che si ripropone due anni dopo a livello nazionale”. E parlando di filo rosso della legalità che univa Giuseppe D’Angelo, Pier Santi Mattarella e Aldo Moro, il professore Cerra spiega: “D’Angelo che sia stato legato a Moro è certo, tra l’altro D’Angelo si farà portavoce dell’istituzione di una commissione ad hoc che si occupi del fenomeno criminale-mafioso. Certamente possiamo collegare il messaggio di D’Angelo con quello doroteo. C’è un forte fil rouge tra i due”. Un importante momento politico- culturale moderato dal giornalista Nino Arena.

Francesco Librizzi