Cronista denunciato dai figli del boss Bevilacqua

Ha appreso, quasi per caso, recandosi al palazzo di giustizia di essere stato iscritto nel registro degli indagati per diffamazione.

E’ quanto accaduto al giornalista Josè Trovato, autore di numerose inchieste sulla mafia, che è stato querelato dai figli di Raffaele Bevilacqua, 74 anni, di Barrafranca, deceduto nel maggio scorso nell’ospedale milanese Santi Carlo a Milano, ed indicato dalla Procura distrettuale antimafia come un potente capomafia. Non si conoscono ancora le ragioni per cui i due figli abbiano deciso di intraprendere un’azione legale nei confronti del cronista.

Il legale di Trovato

“Serve veramente, in generale, una normativa della UE che tuteli maggiormente i giornalisti contro le querele temerarie e a sfondo intimidatorio – Josè Trovato ha comunque dimostrato di saper tenere la schiena dritta in tante occasioni – dice l’avvocato Salvatore Timpanaro, legale del giornalista – Dimostreremo, anche in questo caso, che Trovato ha adempiuto al suo dovere di giornalista professionista, nell’esercizio del diritto di cronaca che è riconosciuto dall’articolo 21 della Costituzione”.

La solidarietà di Assostampa

La segreteria regionale di Assostampa Sicilia, con il Gruppo Cronisti e la segreteria provinciale di Enna si sono schierati al fianco del cronista. “Ci stringiamo ancora una volta attorno a José Trovato, vicesegretario provinciale della sezione di Enna di Assostampa, componente – si legge nella nota del sindacato – del direttivo del Gruppo Cronisti Siciliani, da anni impegnato nel racconto delle dinamiche del fenomeno mafioso nel territorio ennese. Oggi più che mai la libertà di stampa è messa in preoccupante discussione anche attraverso leggi che ne limitano il racconto dei fatti indispensabili allo sviluppo democratico della società”.

Chi era Bevilacqua

Nato a Barrafranca, Bevilacqua, porta con sé molti segreti, dal momento che non ha mai collaborato con i magistrati e non ha mai fatto rivelazioni sugli assetti di Cosa nostra o sui rapporti tra mafia, imprenditoria e politica. Prima del coinvolgimento nelle operazioni antimafia negli anni ’90, era un avvocato penalista molto noto ed esponente della democrazia cristiana.

La condanna all’ergastolo

Condannato all’ergastolo come mandante di un delitto del maggio 2004, stava scontando la condanna al 41 bis, ma nel maggio del 2018 aveva ottenuto il permesso di subire un intervento chirurgico a Catania e di rimanere agli arresti domiciliari in un appartamento del capoluogo etneo.

Dal momento del beneficio erano scattate le indagini e la sorveglianza, condotte dai Ros dei carabinieri, che avevano accertato come Bevilacqua dai domiciliari avrebbe continuato ad incontrare nel suo appartamento, esponenti della mafia di Barrafranca e Pietraperzia di fatto riprendendo la reggenza della cosca.

Il ricovero e la morte

A luglio del 2020 era scattata l’operazione Ultra coordinata dalla Dda di Caltanissetta, con 46 misure di custodia cautelare tra le quali quella di Bevilacqua che era quindi tornato in carcere in regime di 41 bis. Prima della sua morta, i suoi difensori, avvocati Gaetano Giunta e Giuseppe D’Acquì, avevano ottenuto dal giudice di sorveglianza di Milano, il trasferimento in regime di detenzione all’ospedale milanese per i gravi problemi di salute del loro cliente.