I cinque referendum dell’8 e 9 giugno sono un’occasione per parlare della vita concreta delle persone. Quattro di questi cinque referendum sono promossi dalla Cgil e riguardano le politiche perseguite sul lavoro da anni dai governi di centrosinistra e di centrodestra succedutisi alla guida dell’Italia, che hanno
indebolito le tutele e i diritti dei lavoratori.
Ma sono prevalentemente i giovani ad esserne interessati perché sono spesso loro a pagare il prezzo del lavoro precario, sottopagato e sfruttato. Votando “Sì” si chiede di abrogare: la norma di legge che impedisce la riassunzione in servizio del lavoratore licenziato ingiustamente e senza alcun fondato motivo dal datore di lavoro di un’impresa con più di 15 dipendenti; la norma di legge che consente al datore di lavoro di un’impresa con meno 15 dipendenti di licenziare illegittimamente un lavoratore, che può ricevere al massimo 6 mensilità di stipendio come risarcimento; la norma di legge che consente rapporti di lavoro a termine della durata di 12 mesi anche se il lavoro da svolgere non è temporaneo. E’ una forma di contratto che mette il lavoratore sotto ricatto, impedendogli di fatto di realizzare un progetto di vita; la norma di legge che impedisce di estendere all’impresa appaltante la responsabilità di un infortunio sul lavoro nel cantiere dell’impresa subappaltatrice; la norma di legge che prevede 10 anni di residenza legale in Italia per il cittadino straniero che vuole fare la domanda della cittadinanza italiana. Eliminando questa norma, il requisito della residenza legale si riduce da 10 a 5 anni per ottenere la cittadinanza italiana.
Sull’esito dei referendum peserà l’astensione dal voto di quelli che vogliono mantenere re lo stato di cose esistente. Tra di loro ci sono i partiti di governo della coalizione di governo del centrodestra (FdI, Lega e FI). Questi puntano a vanificarli non andando a votare, di modo che non si raggiunga il quorum de 50 per cento più 1 degli elettori che a votare ci andranno. Confidano sul fatto che negli ultimi 30 anni
soltanto 2 dei 10 referendum che si sono svolti hanno superato il quorum.
I partiti di centrosinistra (Pd, M5S e AVS) sono invece mobilitati per sollecitare la partecipazione al voto degli elettori. I partiti di centrosinistra sono per il SI’ ai referendum con delle singolari distinzioni. Il M5S chiede ai suoi elettori di votare SI’ ai 4 referendum sul lavoro mentre lascia libertà di voto per il referendum sulla cittadinanza. Nel Pd, la corrente di minoranza dei riformisti dà l’indicazione di
ritirare e votare SI’ solo sue due schede: quella riguardante la riduzione dei tempi per la cittadinanza e l’altra sulla responsabilità nei subappalti.
Come si spiega questo comportamento della corrente riformisti del, che oltre ad essere in linea con
l’indicazione dei partiti di centrodestra, è un chiaro atto di ostilità nei confronti della segretaria Elly Schlein che per il SI’ in tutte e 5 i referendum? Tranne quello sulla responsabilità sui sub appalti, gli altri quesiti sul lavoro riguardano il cosiddetto Jobs Act, la riforma del lavoro realizzata dal governo di centrosinistra guidata da Renzi nel 2015, quando ancora era nel Pd. I riformisti sono ancora legati a quella stagione politica, nonostante Renzi sia andato via dal Pd e si è fatto un partito suo personale.
Foto tratta dal sito della Cgil