Alla festa dell’Unità sbarca la questione meridionale, le difficoltà dei giovani a restare

di Giacomo Lisacchi

Alla Festa dell’Unità provinciale inaugurata venerdì al Parco Proserpina di Pergusa si è tenuto un incontro con la cittadinanza su un tema che dall’unità d’Italia ad oggi ricorre spesso nel mondo della politica e della cultura italiana: “La questione Meridionale non passa di moda – per una giovanile meridionalista”.

Gli interventi

All’interessante serata, organizzata dal segretario regionale dei GD, l’ennese Marco Greco, sono stati invitati a relazionare sul tema diversi giovani dirigenti del Pd siciliano. Dopo la presentazione di rito da parte della moderatrice Martina Pisa dei GD di Niscemi, i relatori si sono alternati al microfono dando nei loro interventi interessanti spunti di riflessione ai convenuti, tra i quali moltissimi giovani.

Le scuole vanno in pezzi

Caterina La Rocca, responsabile nazionale degli studenti medi, ha puntato il dito sulla scuola non solo come luogo di formazione, ma anche come una sfida fatta di sacrifici e difficoltà. Una scuola i cui “edifici in Italia non dispongono, nella quasi totalità, di certificazione obbligatoria in tema di sicurezza”. “In Sicilia –ha detto-, solo il 5 per cento risulta a norma e studenti e studentesse vanno a scuola in edifici che potrebbero crollare da un momento all’altro. Anche dal punto di vista dei trasporti in Sicilia siamo messi male, perché non si riesce a coprire tutti i territori dell’entroterra. Per non parlare della dispersione scolastica che in Sicilia è del 17 per cento. Quindi bisogna ripartire dai servizi essenziali per far ripartire il sistema scolastico e permettere ai nostri ragazzi di formarsi in un ambiente che possa sviluppare la capacità critica”.

IL crollo degli studenti

Luigi Nicolosi, responsabile provinciale GD di Catania: “La questione meridionale, parte dalla
cultura. Se guardiamo al mondo universitario si registra un dato particolare: abbiamo infatti un’alta
percentuale di studenti residenti in Sicilia ma gli iscritti nelle università del Sud sono diminuiti.
Questo perché un’alta percentuale di studenti del Sud, 200.000 circa, va a studiare al nord. Inoltre,
ci sono veramente tante persone che non possono nemmeno permettersi di proseguire gli studi e di
formarsi dopo le scuole dell’obbligo. Il Sud rappresenta un elemento di riscatto importante per noi
giovani e da questi problemi bisogna partire per far si che si impostino le basi per permettere a tutti
di costruirsi un futuro migliore”.

L’esperienza sul campo

Francesca Cammarata , consigliera comunale di San Cataldo, ha parlato della sua esperienza
politica spiegando che sin dal momento della sua candidatura, ha voluto incentrare la sua azione
non sui temi tradizionali ma su quelli come la cultura, gli spazi per i giovani e tutte le questioni che
li riguardano. “Siamo stati i primi –ha spiegato- ad aprire un’aula studio per i ragazzi, perché era
un’esigenza per i ragazzi di San Cataldo, anche se contrastati in ogni modo dagli “anziani” della
politica. Da li ci siamo mossi, anche in autonomia, per portare avanti altri temi importanti come ad
esempio la violenza di genere e la questione palestinese. La politica ha un ruolo fondamentale ma
deve dare spazio ai giovani e ripartire da li perché oggi il mondo è cambiato e ci sono questioni che
necessitano di soluzioni concrete affinché si possa pensare di dare un futuro a questa terra. Solo con
l’impegno e la dedizione in questa direzione, si potrà andare avanti”.

L’isolamento delle Aree interne

Giorgio Marretta, segretario provinciale GD di Palermo, invece punta il dito contro la desertificazione delle aree interne dove “mancano le infrastrutture, i collegamenti stradali sono inesistenti o fatiscenti, di conseguenza anche i trasporti non sono sufficienti a garantire la mobilità delle persone”. “Il problema –ha evidenziato- è che nell’ultimo documento, stilato dal Governo, a discapito di quello che dicono in tv o dichiarano nei giornali, si dice chiaramente che “queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a se stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderle socialmente dignitose per chi ancora vi abita”. Di fronte a tutto questo, non possiamo arrenderci. Non possiamo permettere di decretare la morte dei territori in cui siamo nati e cresciuti”.

Cosa fare per restare?

Calogero Patti , Centro studi “Giuseppe Gati” di Campobello di Licata: “La domanda che tutti noi
ci dobbiamo porre oggi è “cosa possiamo fare noi concretamente per cambiare le sorti di questa
terra?”. Il nostro centro studi nasce proprio da questo e da li abbiamo sviluppato una serie di
iniziative per i ragazzi, perché ci siamo accorti che in questa terra già in età adolescenziale si ha la consapevolezza di dovere andare via anche se si vorrebbe restare. E allora, a novembre daremo vita
al “Comitato per restare” per comunicare alle istituzioni che la situazione è drammatica”.

La versione di Greco

Ha concluso i lavori Marco Greco: “Ringrazio tutti quelli che sono intervenuti. Quest’anno, la giornata centrale della Festa dell’Unità ha voluto invertire la tendenza, ovvero dire ai decani della politica e del partito quali sono i nostri problemi e come vediamo, dal nostro punto di vista, la Questione meridionale. A differenza loro, che in qualche modo vedevano un futuro, noi siamo penalizzati. La classe politica attuale non ha mai voluto affrontare il problema della Questione meridionale. Persone che stanno lì da 40 anni a governare perché glielo permettiamo noi; oggi ci siamo stancati di una classe politica che in Sicilia gestisce la sanità come un bacino elettorale e lo fa anche ad Enna, come dice la Commissione Regionale Antimafia. Ci siamo stancati di studiare, di formarci e fare sacrifici per poi fare stage sottopagati a Milano o a Torino quando invece basta essere “figlio di” per diventare dirigente di una delle più grosse partecipate regionale. La Questione meridionale la possiamo risolvere solo con delle opere strutturali. Non è vera la storia che mancano i fondi. Oggi esistono tantissimi modi per reperirli, ad esempio l’Europa, l’autonomia regionale. Ma fin quando questi soldi non iniziamo a spenderli in opere strutturali, i giovani se ne continueranno ad andare. Perché i nostri amministratori preferiscono distribuire e sperperare i nostri soldi perché questo porta voti e se ciò accade è colpa nostra. Dall’altra parte non ci possiamo rassegnare al fatto che un Governo abbia già decretato la morte delle nostre aree. Dobbiamo rompere questo sistema politico-clientelare per cui se un giovane vuole lavorare deve portare voti al politico di turno. E anche se è difficile dobbiamo crederci perché tutto ciò ha portato a uno stato di sottosviluppo della Sicilia”.