Enna, cuore silenzioso del food siciliano: export più contenuto ma occupazione ai vertici dell’Isola

Il boom del made in Sicily nel comparto alimentare e delle bevande tra il 2024 e il 2025 attraversa anche Enna, con numeri che raccontano una realtà meno appariscente rispetto alle grandi province costiere, ma tutt’altro che marginale nel quadro economico regionale. Anzi, letti in chiave ennese, i dati restituiscono l’immagine di un territorio che, pur con volumi più ridotti, mantiene un ruolo significativo soprattutto sul fronte dell’occupazione e dell’artigianato.

Il peso delle esportazioni

Secondo i dati elaborati da Confartigianato Sicilia, il peso delle esportazioni di alimentari e bevande sul valore aggiunto provinciale a Enna si attesta all’1,07 per cento. Una quota inferiore rispetto a Trapani (2,54 per cento) e Ragusa (2,23 per cento), che guidano la classifica regionale, ma in linea con province più strutturate come Catania (1,17 per cento) e superiore a Palermo (0,63 per cento), Siracusa (0,23 per cento) e Caltanissetta (0,21 per cento).

A Enna meno export e più mercato interno

Per Enna questo dato va letto tenendo conto della dimensione del tessuto produttivo: meno imprese orientate all’export e un mercato più legato alla trasformazione locale e al consumo interno. In altre parole, il contributo ennese non passa tanto dai grandi flussi verso l’estero quanto da una filiera corta, radicata nel territorio, che valorizza produzioni tradizionali e artigianali.

Bene l’occupazione

È proprio sul fronte del lavoro che Enna emerge con maggiore forza. L’incidenza degli addetti dell’alimentare, delle bevande e della ristorazione sul totale dell’economia provinciale raggiunge il 3,6 per cento, lo stesso valore di Messina e uno dei più alti in Sicilia. Un risultato che supera Trapani (3,5 per cento), Agrigento (3,4 per cento) e distanzia nettamente Palermo e Catania, ferme entrambe al 2,3 per cento.

Questo significa che, a Enna, il comparto agroalimentare non è solo un settore produttivo, ma una vera colonna portante dell’occupazione locale. In un’area interna spesso penalizzata da spopolamento e carenza di grandi industrie, l’artigianato alimentare e la ristorazione rappresentano una delle principali opportunità di lavoro e di tenuta sociale.

Il dato siciliano

Il quadro regionale resta comunque positivo. Nei dodici mesi tra luglio 2024 e giugno 2025, la Sicilia ha esportato alimentari e bevande per 1,1 miliardi di euro, pari al 9,7 per cento dell’export manifatturiero regionale, con una crescita del 15,1 per cento nel primo semestre 2025: la migliore dinamica tendenziale in Italia. Un contesto favorevole che può aprire spazi anche per le realtà più piccole, come quelle ennesi, se adeguatamente sostenute.

Il made in Sicily

La forza del made in Sicily risiede inoltre nella qualità: 36 prodotti Dop e Igp riconosciuti dall’Unione europea – seconda regione in Italia – e ben 293 prodotti agroalimentari tradizionali. Un patrimonio che parla anche il linguaggio delle aree interne, dove cereali, prodotti da forno, dolciaria e trasformazioni vegetali hanno una lunga storia. Proprio questi segmenti rappresentano oltre il 60 per cento delle specialità tipiche regionali e coincidono con molte produzioni presenti nel territorio ennese.

I consumi

Sul fronte dei consumi, invece, Enna sconta i limiti demografici. Nel periodo natalizio la spesa delle famiglie ennesi in prodotti alimentari e bevande si ferma a 46 milioni di euro, ultima provincia siciliana in classifica. Un dato distante da Palermo (341 milioni) e Catania (307 milioni), ma coerente con la dimensione della popolazione. Anche in questo caso, però, il numero non va letto come debolezza del settore produttivo, bensì come riflesso di un mercato locale più ristretto.

«Questi dati dimostrano che è importante investire sulle nostre aziende – sottolinea il presidente di Confartigianato Imprese Sicilia, Emanuele Virzì – perché l’artigianato alimentare resta un simbolo di eccellenza e qualità». Per Enna la sfida è chiara: trasformare la forte incidenza occupazionale e il patrimonio di saperi tradizionali in maggiore capacità di valorizzazione economica, magari agganciandosi alla crescita dell’export regionale.