Enna. L’Associazione ‘Il Picchio’ presenta libro “I ragazzi di Regalpetra”

Enna. Giovedì 16 Luglio alle ore 19 a Enna nel salone ottagonale della Torre di Federico II lo scrittore e giornalista Gaetano Savatteri presentera’ l’ultimo suo libro “I ragazzi di Regalpetra”.
L’evento, patrocinato dal Comune di Enna è organizzato dalla Libreria Buscemi e dall’Associazione culturale “Il Picchio”.
La manifestazione culturale ha per tema “Dai fatti di Petra alle Parrocchie di Regalpetra, fino ai Ragazzi di Regalpetra” da Nino Savarese a Leonardo Sciascia a Gaetano Savatteri. Una lunga riflessione su una generazione di un paese diviso tra mafia e sottosviluppo, tra arretratezza culturale e resistenza. Mafia, civiltà contadina e lotte di riscatto sociale nella letteratura siciliana.
Interverrà il giornalista Giancarlo Macaluso, amico d’infanzia di Savatteri e fra i protagonisti dei fatti narrati nel libro.


L’autore
Gaetano Savatteri è nato a Milano nel 1964, da genitori di Racalmuto. A dodici anni è tornato, con la famiglia, in Sicilia, proprio a Racalmuto, il paese di Leonardo Sciascia. E qui, assieme ad altri giovani, nel 1980 ha fondato il periodico Malgrado tutto, piccola testata giornalistica che nel primo numero presentava un articolo di Sciascia. L’autore de Il giorno della civetta restò sempre affezionato a quel foglio locale, e spesso su quelle pagine si sono ritrovati altri interventi dello scrittore di Racalmuto. In pochi anni, attorno alla testata, si sono raccolte molte altre firme come quelle di Gesualdo Bufalino e Vincenzo Consolo. Ancora oggi il giornale continua ad essere il luogo nel quale si ritrovano giornalisti e scrittori legati alla figura di Sciascia: Andrea Camilleri, Giuseppe Bonaviri, Matteo Collura. Nel 1984 Savatteri comincia a lavorare come cronista nella redazione di Palermo del Giornale di Sicilia. In seguito si trasferisce a Roma, prima come inviato dell’Indipendente, poi come collaboratore del Tg3. Dal 1997 è inviato speciale del Tg5.

IL LIBRO
Trent’anni fa giocavano insieme a calcio. Oggi, uno è un giornalista, l’altro un boss di Cosa Nostra, ora pentito. Un faccia a faccia che, attraverso le memorie personali, racconta la storia di un paese e della Sicilia.
I numeri di Regalpetra dal luglio 1990 al dicembre 2006: venti omicidi; due stragi; due casi di lupara bianca; un suicidio, tre manifestazioni contro la mafia.
Per uno scrittore di noir come Savatteri la Sicilia è la patria ideale perché “è una terra priva di giustizia, umanità e verità”.
“Una squadretta di assassini di Cosa Nostra, pronta a intervenire al bisogno, quando c’è da ammazzare qualcuno. Con una sola avvertenza: non si uccide di venerdì, perché è giorno di dolore.” Sono i ragazzi di Regalpetra. Quando l’autore legge questa frase in un atto giudiziario non crede ai suoi occhi. Anche lui è un ragazzo di Regalpetra. Anche lui è cresciuto ascoltando le stesse canzoni, rincorrendo lo stesso pallone, frequentando gli stessi bar. Ma lui non ha mai sparato.
Questo libro parla di quei ragazzi e di un paese, Racalmuto, in provincia di Agrigento, luogo natale di Leonardo Sciascia e sfondo di tante sue opere col nome di Regalpetra. Qui, negli anni Settanta e Ottanta, sono cresciuti insieme ragazzi che, come l’autore, hanno dato vita a un piccolo giornale, una palestra di impegno civile; e altri che invece hanno scatenato una sanguinosa guerra di mafia a partire dalla strage del 23 luglio 1991. Li conosceva Savatteri e diciott’anni dopo li ha cercati e incontrati di nuovo. Il risultato è un serrato faccia a faccia tra l’autore e Maurizio Di Gati e gli altri ex picciotti che, né ricchi né potenti, né famosi né imprendibili, hanno formato l’ossatura agrigentina di Cosa Nostra e oggi, reduci da lutti, galere e latitanze, hanno deciso di parlare.
I ragazzi di Regalpetra è un libro sulle scelte che si consumano quando ciascuno attraversa la sua personale “linea d’ombra”. Una lente applicata a un microcosmo che si fa metafora per capire come e perché si imbocca la strada della violenza. Un omaggio non rituale a un maestro come Sciascia. Una storia che “a rileggerla, più che di mafia, sembra una trama di malinteso affetto fraterno”.