Giulia Martorana: Lettera aperta all’Ordine dei giornalisti di Palermo

Nicosia. Tanti gli attestati di solidarietà alla carissima collega giornalista Giulia Martorana, anche alla nostra redazione quando abbiamo subito degli attentati, denunce (fatte anche tramite qualche addetta stampa e ‘collega’ di Ente locale)’, tanti i fiumi di parole inutili, mai però una vera presa di posizione, anzi… (in verità) meglio così; ci sarà più spazio per chi, oramai (e sono in molti), non hanno nemmeno l’idea dell’educazione, delle buone maniere per non parlare della deontologia. Chissà quale potere si pensa di avere appena in tasca quel tesserino (e in molti a vendersi –in senso buono- per un piatto di fagioli), poveri ricottari (tanto di rispetto per che ne esercita la vera professione).
Non entriamo nel merito di quanto accaduto, ultimamente, a due nostri locali colleghi, però riteniamo opportuno ed utile pubblicare quanto la nostra cara Giulia ha scritto all’Ordine palermitano dei giornalisti:

A partire dal 15 marzo 2010 sarò processata per rispondere dell’accusa di favoreggiamento. Non ho rivelato la “fonte” di una mia notizia ma non ho diritto ad invocare il segreto professionale perché “solo” giornalista pubblicista. Secondo la falsa educazione imperante nell’italico costume, dovrei ringraziare per la solidarietà ricevuta, ma ringrazierò solo coloro che, non da domani ma da ieri, hanno avviato una seria ricerca delle soluzioni per garantire la libertà di stampa, il rispetto dell’etica da parte di chi fa informazione ed un riordino delle funzioni dell’Ordine dei giornalisti. Non mi interessa la solidarietà, merce ormai a buon mercato perché le parole, belle o brutte che siano, non costano nulla. Basta chiederlo agli alluvionati di Messina cosa se ne fanno oggi della solidarietà ricevuta. Merce a buon mercato in un’Italia che ormai è un grande discount, fatta di italiani che sono “merce da discount” dove è solo il prezzo basso e non la qualità a contare. Mi interessano i fatti e non quelli di “giulia martorana”, ma di tutti i giornalisti che in silenzio e ignorati dalla ribalta, fanno onestamente questo mestiere. Non mi interessa il riflettore su di me, ma su tutti coloro che pur non subendo minacce di morte pagano giorno dopo giorno lo scotto di raccontare i fatti, subendo pressioni ed intimidazioni sottili che nulla hanno a che fare con la morte “fisica”. Di tutti questi giornalisti bisognerebbe parlare e della mancanza di tutele alla loro professionalità. L’imputazione, quindi, per non aver rivelato la mia fonte. Poco importa se faccio questo mestiere a tempo pieno come unica attività, con un contratto “Articolo 12” e poco importa se lo faccio come tanti altri, raccontando una piccola provincia piena di grandi mali. Non posso tutelare le mie fonti perché sono pubblicista. Da mesi in Italia l’immagine del giornalismo è avvelenata da sistematiche delegittimazioni della libera informazione. La stessa delegittimazione viene portata avanti anche nei confronti della magistratura e per questo motivo confido che nessuno utilizzi questa vicenda per attaccare la magistratura in quanto tale che, come il giornalismo italiano, ha bisogno non di delegittimazione ma di sostegno e garanzie di esercitare le proprie prerogative. L’Ordine dei giornalisti deve affrontare, senza attendere “il caso”, la realtà quotidiana di chi, in una provincia che fa meno del doppio degli abitanti del quartiere catanese di Librino, scrive cronaca sapendo di farsi terra bruciata intorno. L’Ordine dei giornalisti manda un bollettino con il quale chiede 100 euro (110 se paghi con ritardo) ogni mese di gennaio di ogni anno, per la quota annuale di iscrizione. Poi scompare per i restanti 11 mesi. Non una sola lettera nella quale si chiede agli iscritti se subiscono pressioni o intimidazioni, se hanno procedimenti in corso, querele o problemi nello svolgimento della loro professione. Mi si dirà che per questo c’è un sindacato, ma io chiedo: cosa ci sta a fare un ordine professionale che rilascia tesserini anche ai semianalfabeti (basta sfogliare qualunque quotidiano per trovare errori ed orrori). Compito di un ordine professionale è la tutela ed il controllo della professionalità degli iscritti. Non mi risulta che all’ordine dei chirurghi italiani siano iscritti gli inservienti ospedalieri e allora perché sono giornalisti pubblicisti, come lo sono io, persone che confondono un Gup con un Gip, un rinvio a giudizio con una condanna, che non conoscono il ruolo istituzionale di un sindaco o le prerogative di un pubblico ministero. Perché sono giornalisti anche coloro che scrivono, ed i redattori che ne pubblicano gli articoli, amenità come:“Un pozzo luce si è così trasformato in canna fumaria per sprigionare il fumo dentro alle abitazioni disposte sugli altri due piani superiori della struttura, attaccata a un’altra palazzina..” o ancora “In paese c’è qualche pecora nera (e forse anche due, o tre…), che si “diverte” ad infierire contro il verde cittadino e le opere pubbliche collettive”. Per non parlare della nera.. “per il tentato omicidio con un coltello da cucina inferto alle spalle di .xxx…, di 47 anni di xxx all’interno di un oleificio” e che dire dei poeti? “ Lo studio progettuale sembra, infatti, fatto apposta per riqualificare ed abbellire, con nuovo e ricercato sistema di illuminazione pubblica, lo scendere ed il salire della Via..,” e ancora gli esperti d’arte: “prende forma la fusione di un linguaggio che è l’insieme combinatorio di tre fonti luminose: neorealismo, surrealismo, metafisica”. Non ci indigniamo per l’involuzione culturale della nostra società se si dice ad un lettore che neorealismo e metafisica sono fonti luminose. Ci sono anche “pubblicisti” che nei pezzi di giudiziaria o nera usano a propria discrezione generalità per esteso o iniziali secondo un unico parametro: se sono amici o potenti si usano le iniziali, mentre per i “disgraziati signor nessuno” vanno bene le generalità complete. L’ordine si accorge di queste cose? Io mi difenderò dinanzi alla giustizia come ho sempre fatto in questi anni durante i quali ho collezionato: 32 querele da un amministratore pubblico che non gradiva i miei articoli, tutte archiviate perché manifestamente infondate; denunce per diffamazione da pentiti di mafia “offesi nella loro onorabilità” perché ho scritto della revoca del programma di protezione; procedimenti intentati da personaggi sotto processo o condannati per associazione per delinquere di stampo mafioso che non hanno “gradito” termini come “legati alla mafia di….”; un processo in corso a Catania, intentato da un condannato, in primo e secondo grado, all’ergastolo per duplice omicidio, che mi ha querelata perché ho riportato del rigetto da parte della Corte di cassazione del suo ricorso per legittima suspicione. Secondo lui tale notizia lo faceva apparire “colpevole e definitivamente condannato”. Si tratta solo di pochissimi esempi, i più eclatanti, ma che ritengo indicativi del clima nel quale lavorano tanti giornalisti e delle striscianti pressioni che subiscono. L’Ordine ed i sindacati di categoria, sui quali non mi soffermo perché non ne faccio parte, dovrebbero porre ogni giorno alla loro attenzione questi temi che riguardano centinaia di piccoli cronisti di provincia, non solo quando “scoppia il caso”. Affrontate tutti la questione del segreto professionale e della sua tutela perché non sono stata la prima e, senza un intervento sull’attuale legislazione, non sarò l’ultima a venire incriminata. Sono troppo concreta, o forse solo troppo “disincantata veterana” per ringraziare della “solidarietà”. Attendo i fatti, insieme a tanti colleghi. Sono certa che si solleverà il dibattito sulla contraddizione tra l’ordinamento professionale che impone la tutela delle fonti e la legge dello Stato, a sua volta in contrasto con la Costituzione italiana. Auspico che l’Ordine dei giornalisti, al cui interno non mancano le oneste professionalità e capacità di rilanciarne il ruolo, dopo un sereno e attento esame dello “status quo” sappia darsi quel riordino che è oggi necessario per difendere la libertà di stampa e quindi i giornalisti, ed il diritto dei cittadini ad essere informati.

Giulia Martorana


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