Catenanuova. Restano in carcere gli assassini di Salvatore Prestifilippo Cirimbolo

Restano in carcere i due presunti assassini di Salvatore Prestifilippo Cirimbolo, ammazzato a colpi di kalashnikov il 15 luglio 2008 nella cosiddetta “strage di Catenanuova”. Filippo Passalacqua e Gianpiero Salvo, i due presunti assassini di Salvatore Prestifilippo Cirimbolo, ucciso a colpi di kalashnikov il 15 luglio 2008, rimangono in carcere. I giudici del tribunale di Libertà di Caltanissetta hanno respinto il ricorso presentato dal difensore, il penalista Davide Giugno del foro di Catania, confermando l’ordinanza del Gip di Caltanissetta, chiesta e ottenuta per ben due volte dal pm Roberto Condorelli. Il difensore ha comunicato che ricorrerà in Cassazione al fine di “ottenere l’annullamento dell’ordinanza”, ritenendo la decisione del Tribunale del Riesame un “ennesimo errore giudiziario nella valutazione dell’impianto accusatorio, che rimane indiziario e non arriva a quella gravità richiesta ai fini dell’applicazione della misura cautelare in carcere, tenuto conto che le dichiarazioni accusatorie rese da D’Aquino mutuano da quelle precedentemente rese dal pentito Pettinati che sull’argomento è assolutamente generico nonché contraddittorio”. Il penalista aggiunge che esisterebbero “elementi insuperabili dai quali emerge l’assoluta estraneità dei due indagati all’omicidio dell’agricoltore di Catenanuova. Rimangono le accuse solo di collaboranti che hanno espresso odio e rancore nei confronti di Salvo e Passalacqua. I due sono accusati di aver organizzato e compiuto in prima persona la strage per una ritorsione nei confronti della vittima, che era legata alla mafia catanese del clan Cappello, ma che aveva cercato più volte di assumere un ruolo di primo piano a Catenanuova, specie nel richiedere le estorsioni, quindi tentativi di defilarsi dai Salvo, facenti capo al padre di Gianpiero, Giuseppe detto “Pippo u carruzzeri”, che è anche suocero di Passalacqua. L’accusa punta tutto sulle intercettazioni delle conversazioni fra la vittima e i due indagati, che gli chiedevano di incontrarsi per risolvere una “questione”, che probabilmente doveva essere la spartizione dei proventi provenienti del pizzo; e sulle testimonianze di alcuni collaboratori di giustizia, come il catanese Gaetano D’Aquino, che racconta, sapendolo da un capomafia etneo, Biagio Sciuto, come è avvenuto l’omicidio di Catenanuova, una versione che poi gli sarebbe stata confermata dallo stesso Salvo. La difesa sostiene che vi è l’assenza di riscontri e le presunte incongruenze del racconto di D’Aquino, sono una testimonianza indiretta le cui fonti negano fermamente di avere riferito quelle cose; fornendo, invece, una differente interpretazione dei contatti telefonici fra i due indagati e la vittima. I due, secondo la difesa, lo cercavano per avere 5 mila euro, che era il dovuto per l’acquisto in società di una moto, cinque mila euro mai dati.