Piazza Armerina, ventottenne ucciso perché vantava un credito di cento euro, sentenza definitiva arrestati padre e figlio

Vincenzo Puglisi Cannarozo

Gli uomini della Squadra Mobile e del Commissariato di P.S. di Piazza Armerina hanno eseguito l’arresto a carico di due soggetti piazzesi, padre e figlio, PUGLISI CANNAROZZO Guglielmo, classe ’61 – con precedenti di polizia per reati contro il patrimonio e la persona – e PUGLISI CANNAROZZO Vincenzo, classe ’90, in esecuzione del provvedimento della Procura Generale presso la Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta, che dispone la carcerazione dei congiunti, a seguito della sentenza definitiva di condanna per l’espiazione della pena di 14 anni, tre mesi e otto giorni di reclusione per essere stati riconosciuti colpevoli dei reati di seguito descritti

A) del delitto previsto e punito dagli artt. 110 e 575 e 61 nr. 1 c.p. perché in concorso tra loro cagionavano la morte di ABATI Calogero, colpendolo con un grosso coltello.

B) del reato p.p. e dall’art.4 l.110/75 e 61 nr. 2 c.p. per avere portato, al di fuori della loro abitazione e senza giustificato motivo, n. 2 grossi coltelli da cucina con lama da punta e da taglio.

Fatti entrambi commesso in Piazza Armerina, in data 25.09.2013.

I fatti risalgono al settembre 2013, allorquando una violenta lite portava all’omicidio di Calogero ABATI, classe 1984, manovale di Piazza Armerina, ucciso con due fendenti all’emitorace sinistro. All’epoca le articolate e complesse le indagini della Polizia (condotte dalla Squadra Mobile e dal Commissariato di P.S. di Piazza Armerina) portarono all’arresto dei due congiunti.

In particolare, nel corso della mattina del 25 settembre 2013 si erano registrati i primi contrasti tra la vittima ed il PUGLISI CANNAROZZO Guglielmo a causa della richiesta del primo di cento euro per lavori di ristrutturazione effettuati in un negozio di proprietà dello stesso PUGLISI. Questi, di contro, avrebbe rimandato la consegna del denaro alla ultimazione degli interventi previsti; da qui una prima accesa discussione posto che l’ABATI pretendeva la consegna del denaro. Calmati gli animi, poco dopo, l’ABATI tornava nuovamente presso il bar di proprietà di Vincenzo PUGLISI CANNAROZZO pretendendo i soldi. Si verificava un’altra animata discussione che veniva sedata dall’intervento di alcune persone presenti sul posto. Ancora una volta, dopo essersi allontanato, l’ABATI – accompagnato da un parente – tornava e, brandendo un coltello, inveiva contro i PUGLISI, tanto che ne scaturiva un alterco, a seguito del quale restava ferito ad una spalla Vincenzo, che è stato poi medicato presso l’ospedale di Piazza Armerina riportando diversi punti di sutura. A questo punto, i PUGLISI avrebbero prelevato dall’interno del bar due grossi coltelli per contrastare l’aggressore; immediato l’intervento di alcuni astanti – tra cui il parente dell’ABATI ed un congiunto dei PUGLISI – per separare i contendenti i quali però riuscivano a divincolarsi, tanto che l’ABATI – dopo essere stato colpito all’addome con un coltello – tentava di darsi alla fuga allontanandosi a piedi. Tuttavia, dopo essere stato inseguito, rovinava a terra, perdendo molto sangue. Immediatamente soccorso sia dal parente che dagli stessi aggressori, giungeva cadavere presso l’ospedale di Piazza Armerina.

Guglielmo Puglisi Cannarozo

L’ispezione cadaverica eseguita dal medico legale consentiva di verificare la presenza di due grosse e profonde ferite all’altezza dell’emitorace sinistro. Innumerevoli le testimonianze raccolte dagli investigatori nella immediatezza dei fatti; importanti elementi sono stati acquisiti grazie al filmato di una videocamera di un vicino esercizio commerciale che ha parzialmente ripreso le fasi dell’evento. L’Autorità Giudiziaria procedente, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Enna, a seguito degli elementi raccolti, ha emesso provvedimento di fermo di indiziato di delitto a carico dei due indagati.

I due venivano riconosciuti colpevoli già nella sentenza di primo grado, pena poi inasprita in appello, veniva confermata successivamente in Cassazione, che ha respinto il ricorso presentato dai due congiunti con ordinanza dello scorso 30 marzo.

Gli stessi, dopo gli adempimenti di rito, sono stati ristretti presso il carcere di Enna per espiare la pena la pena definitiva di anni 14 mesi 3 e giorni 8, oltre a pene accessorie, tenuto conto dei periodi di detenzione già sofferti dai due congiunti.