Enna. Incendi: conseguenze dei roghi si vedranno quando arriveranno le piogge

Enna. “Non troviamo parole diverse da “indifferenza” e “abbandono” per descrivere la situazione sia della Rocca di Cerere che del Castello di Lombardia, un unicum di una parte della cittadina ennese che conserva importanti testimonianze del passato. In tutta l’area, comprese le pendici sottostanti, il degrado regna sovrano e se non si interverrà al più presto con dei lavori di ripristino e di pulizia delle erbacce, si rischierà di mettere in serio pericolo tutta la zona”. E’ quanto abbiamo scritto in un articolo pubblicato ad inizio luglio su ViviEnna.
Evidentemente l’articolo non è servito a nulla, anche perché la città, da lunghi mesi, non fa altro che vivere di diatribe politiche e di annunci, per cui non può che piegarsi anche ai continui soffi di scirocco. Gli incendi che hanno devastato le pendici di Enna e i boschi tra Piazza Armerina, Aidone e Valguarnera, distrutti e ridotti in cenere, non possono che rappresentare una reale minaccia, perché le conseguenze dei roghi si vedranno quando arriveranno le stagioni delle piogge.
“Una cosa così non si era mai vista”: questa è la solita frase che ricorre ogni qualvolta un evento supera, anche di poco, la norma. Accade per le nevicate, le alluvioni e, naturalmente, anche per gli incendi. E purtroppo quello che meraviglia, considerato che gli incendi sono diventati un problema endemico e sempre più invasivo, è la scarsa lucidità con i quali vengono affrontati. Manca una sicura strategia a breve, medio e lungo termine; manca una strategia di prevenzione, segnalazione e repressione. Nulla si può fare contro le temperature torride, i venti sciroccali, condizioni queste che ricorrono ciclicamente, tranne che astenersi da comportamenti a rischio e incrementare la sorveglianza sul territorio.
Molto invece si può e si dovrebbe fare, come ha spiegato alla Gazzetta del Sud l’ex capo dell’Ispettorato forestale di Messina, Giuseppe Giaimi, su un altro formidabile fattore di rischio: “il tipo e la qualità di vegetazione spontanea che, in mancanza di interventi oculati, si accumula a dismisura tra un incendio e l’altro, rendendo oltremodo problematiche le operazioni di spegnimento”. “Indispensabili in questo campo – ha detto Giaimi – diventano il controllo periodico del sottobosco, la manutenzione annuale dei viali parafuoco, la ripulitura ai margini delle strade di ogni ordine e grado, ma anche la predisposizione di una cintura di salvaguardia a difesa degli abitati più esposti, dei centri aziendali e delle stesse case di villeggiatura. La vera lotta antincendio – ha aggiunto – non si pratica quando il termometro segna 40 gradi, ma nei mesi primaverili, quando è possibile interrompere la continuità del manto vegetale e sottrarre esca al fuoco. Per le aziende agricole, in particolare, è tempo di rendere obbligatorio un libretto di sicurezza antincendio, similmente a quanto avviene per i locali pubblici. Ed è inconcepibile che molti terreni privati restino incolti per anni, diventando cinghia di trasmissione del fuoco alle proprietà confinanti. In caso di perdurante inerzia, bisogna prevedere la confisca o l’esproprio”.

Alla domanda, se i veri responsabili, quasi sempre impuniti, restano gli incendiari, Giaimi ha così risposto:
“Continuo a pensare, contrariamente all’opinione prevalente, che tanti focolai si originano per la mancanza di adeguata educazione ambientale, essendo in pochi ancora a capire che comportamenti innocui in tempi normali diventano deleteri in presenza di condizioni climatiche estreme. Ciò detto, so bene che a provocare i danni maggiori sono i fuochi appiccati ad arte nei giorni, le ore e i luoghi che ne rendono difficoltoso lo spegnimento. Per essi le leggi messe in campo a partire dagli anni ’90 hanno giustamente cercato di colpire gli “interessi insiti nell’incendio”. Tenuto conto che: per 5 anni almeno le aree bruciate non si possono rimboschire, salvo deroghe; per 10 anni non si possa pascolare né cacciare all’interno delle aree boschive bruciate; per almeno 15 anni non si possa cambiare la destinazione del suolo, trasformando terreni agricoli in edificabili; l’atto di compravendita di fondi rustici è addirittura nullo ove manchi il riferimento esplicito agli incendi pregressi, le norme in vigore tracciano nitidamente l’identikit delle categorie maggiormente indiziate. Alle quali altre se ne possono aggiungere di volta in volta: vendette personali, mancate assunzioni, turbe mentali, ragazzi in cerca di emozioni, professionisti dell’incendio, messaggi trasversali alla politica”.

Giacomo Lisacchi