Leonforte. Università Popolare: i cunti attorno al braciere
Leonforte - 02/04/2019
“Il santo non suda” ha decretato la curia a proposito di san Filippo di Agira, così è cominciata la lezione di lunedì all’Università Popolare e poi è proseguita con i cunti, passando per “don Cicciu u quadararu”. Don Cicciu usava chiamare tutti “cummaredda” e “cumpari”; con cadenza catanese don Cicciu parlava e parlava nella sua bottega di “stagnaru”. Il suo mestiere gli faceva sporco il viso, ma in quel viso brillavano due occhi vivaci e due pomelli sempre rossi perché don Cicciu amava bere e infatti nella contrattazione del lavoro, don Cicciu, metteva sempre uno o anche due bicchieri di rosso. Altro quadararu fu Domenico Smario, ma lui girava col vestito buono paese, paese e aveva la parlata nostra. Dalla “Brivatura” del professore Nigrelli è stato tratto il passo della “cammarata” piena di fumo di pipa e di odore d’olive arrostite, cotte nella cenere della “coppa”. La famiglia riunita ascoltava le storie di Giufà o i racconti di guerra del nonno e anche del papà. Nella stagione calda il braciere veniva sostituito dal mezzo fusto, che all’aria aperta illuminava le notti lunghe da passare. Di cieca fortuna e di preti spazientiti ha cuntato il professore Nigrelli mentre la professoressa Maria ha cuntato del Pesce d’Aprile della maestra Mantineo, suor Grazia Mantineo. Nel 1582 in Europa venne adottato il calendario gregoriano, che spostò il Capodanno dal primo di Aprile al primo di Gennaio. Era uso allora fare i regali di Capodanno ed i bontemponi, prendendosi gioco dei distratti ad Aprile regalavano pacchi vuoti col disegno del pesce ( che abbocca all’amo). Di bossoli di rame fatti “scoppiare” a colpi di pietra per ricavarne tegami e bracieri e di feriti di guerra per le bombe inesplose si è pure detto, ricordando le schegge sparse per ogni dove e l’abitudine di esporre i cimeli di guerra come cose preziose.
Gabriella Grasso