A Nicosia a maggio e ottobre: la fiera. Balocchi e pensieri

Ad un nicosiano se chiedi cosa avviene a Nicosia a maggio e a ottobre, questi risponderà senza tentennamenti indicando la fiera. Le bancarelle che, tra balocchi e profumi, memori di una vecchia canzone, allietano il popolo nicosiano. Partiamo da un piccolo presupposto, sottolineando che questa fiera a noi non è piaciuta perché non contava neanche una bancarella in cui poter acquistare un libro (come avveniva fino a non molto tempo fa). Certo, non è proprio il luogo ideale, ma è sempre stato un piacere prendere in mano quei libri, sfogliarli, leggerne qualche rigo. Conoscere la loro storia, trattandosi spesso di libri usati. Una storia che si può trovare in qualche rigo sottolineato o in una dedica. Ma vabbè, questa volta non ci è stato dato questo piacere, che seppur piccolo per certi versi, rappresenta qualcosa di immenso nella mente di chi ama leggere e ama il libro cartaceo (e non quei freddi e-book).

Ma camminando tra le varie bancarelle, tra gli ombrelli, gli oggetti da giardino, le lampade, i vestiti e i pigiami, vediamo la gente accalcarsi per comprare, a volte per comprare solo per il piacere di comprare. E quindi, non assuefatti dal pensiero altrui che sarebbe nato nello sfogliar qualche bel libro, questo quadro per certi versi idilliaco, ha condotto ad una riflessione, ovvero nel poter toccare la tragicità della decadenza umana, ormai relegata ad un consumo solo per consumare, un acquisto di surplus solo per il piacere di surplus, quasi volendo citare e parafrasare Latouche. E quindi sorge la domanda di questo nostro abbandono dei valori per delle collanine. Oggi la firma di un capo vale più dell’utilità di quel capo. Non sono più tutti uguali i maglioni! Non coprono più allo stesso modo. Sembra quasi che il maglione della nota marca copra meglio di quello “smarcato” (quasi volendo usare un neologismo e non volendoci di certo riferire al calcio!). Col tutto che quello smarcato, magari, risulta più resistente (ergo: più durevole) di quello con la marca. Non c’è più il valore della parsimonia, quasi un nemico da sacrificare sull’altare della moda. Ma lo scialacquare è anche peccato, come il suo antipode l’avarizia, messi peraltro da Dante all’Inferno, nello stesso cerchio (il quarto), a ingiuriarsi l’un l’altro rimproverando la colpa contraria alla propria, le due facce della stessa medaglia. Lo scialacquare che diventa anche vanità nelle collanine, simbolo di un voler essere, o ancor meglio apparire, piuttosto che l’essere in sé. Ecco perché la fiera, per certi versi anacronistica, diventa simbolo di riflessione. Diventa, dalla bassezza del fine del pensiero, il mezzo alto per pensare. E non certo per trovare una soluzione. Quella è delle noci che da soli non fanno rumore. Ma quantomeno riflettere. E astrarre il nostro pensiero pensando se anche la nostra vita è vissuta con prodigalità o con parsimonia. Se quindi, come Seneca, ci alzeremo sazi dal tavolo, o stolti ci preoccuperemo di dover morire credendo breve la nostra vita, mal riempita oppure mai riempita.

Alain Calò