Maria Vittoria Longhitano, di Nissoria, è la prima donna vescovo in Italia

Maria Vittoria Longhitano, 46 anni ed è la prima donna vescovo in Italia. E’ tornata in Sicilia e sarà ordinata a Catania il 29 maggio. “Avevo dieci anni quando, nella mia Enna, il parroco mi disse che non sarei mai potuta diventare prete”.
La sua Chiesa è quella episcopale, ramo della famiglia anglicana con lo sguardo rivolto al cattolicesimo. Non obbliga al celibato. Infatti Maria Vittoria è sposata, è madre di una bimba di 5 anni.
E’ stata la prima donna sacerdote della chiesa d’Inghilterra in Italia, nel 2010, la prima a celebrare nozze religiose gay e la prima vicaria episcopale per le comunità di lingua italiana.
Per tanti anni è stata alla guida del “Gesù Buon Pastore” di Milano. Ma adesso è tornata in Sicilia parrocchia Madonna del Carmelo a Trecastagni.
Riporta così Repubblica. “Penso a quello che dice il Signore: “gli ultimi saranno i primi”. Così mi sento. Io che da bambina ho sempre immaginato la mia vita esclusa dall’altare e dai sacramenti. “Gesù non vuole chierichetti o preti femmine”. Mi diceva il parroco. Sono nata nella chiesa di Roma dove questo è normale: ci pensa che, nel 2021, non esistono neppure donne diacone?”. “E poi c’è l’idea che si associa il vescovo al potere, ai soldi, all’impudenza politica, c’è l’idea che uno faccia il vescovo per mestiere. Io non la vedo così, continuerò a insegnare filosofia al liceo artistico Emilio Greco di Catania, continuerò a guadagnarmi il pane col mio lavoro, allo stesso tempo celebrerò la messa e assolverò a tutti i doveri che questo nuovo titolo comporta. Ho fatto questa scelta sin da quando mi hanno comunicato che sarei diventata vescovo per l’Italia, qualche giorno fa, della “Inclusive anglican episcopal church”. Il lavoro sarà il triplo, ma non mi spaventa”.
“L’ho sempre saputo. Da bambina giocavo a dire messa, usavo le patatine come ostie, le sciarpe diventavano stole, ero così piccola che non arrivavo neanche al lavello e battezzavo le bambole nel bidè. Anche lì sono stata pioniera, ho fatto i primi matrimoni gay, ho sposato le Barbie tra loro”.
“Sì, nel 2010. Ho officiato pubblicamente le nozze tra due omosessuali a Cormano, nell’hinterland milanese. Sono arrivate diverse minacce e sono stata per un periodo sotto scorta, erano neonazisti, gente che si firmava con la svastica. Neppure questo mi ha fermata”.
“All’inizio non volevo e ho cercato la cosa che era più vicina, ossia le suore di clausura. Sono entrata in monastero ma il caso ha voluto che venisse chiuso per le pressioni della Curia perché tra le monache circolavano idee ritenute troppo progressiste. Così mi sono avvicinata alla comunione anglicana”.
“Il problema è che purtroppo nella chiesa di Roma l’autorità reale è legata all’ordine sacro, è inutile che nominano sottosegretarie. Una prima vera svolta sarebbe dare l’autorizzazione alla donne diacone. E poi pian piano arrivare al sacerdozio, fino all’episcopato e alla possibilità del pontificato anche per le donne. Come in tutte le altre chiese del mondo. Per fortuna che per me è intervenuta Santa Rita”.
“Quando ero piccola mia nonna mi diceva sempre che se volevo qualcosa di difficile da realizzare dovevo chiedere a lei. Mi diceva: “Santa Rita è la santa delle cose impossibili”. Nel mio paesino, Nissoria, durante la processione le chiesi di aiutarmi. Me ne dimenticai, ma quando il mio vescovo stava guardando la data di ordinazione sull’agenda, l’unico giorno libero dell’anno era il 22 maggio, giorno della festa di Santa Rita. Come faccio a non credere alla comunione dei santi?”. “Esatto. Prima perché era vedova e aveva perso la verginità fuori del matrimonio, poi perché aveva sposato un disgraziato. Ma alla fine chi tiene duro vince”.
“Racconto un aneddoto. La mia bimba l’altro giorno alla ludoteca rivolgendosi agli altri compagni ha detto di aver celebrato la messa con la mamma: i bimbi invece di stupirsi hanno iniziato a dire “anche io”. La teologia dei bambini ha prevalso sulla discriminazione”
“Quella che ognuno di noi dovrebbe ritrovare”.

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