Enna. Conclusa la Mostra fotografica “Sante ma donne” di Gianluca Sodaro

Enna. Si è conclusa ieri la mostra fotografica del regista siciliano Gianluca Sodaro, con la direzione artistica di Paolo Gagliardi, le musiche appositamente scritte da Gaetano Fontanazza e le proiezioni di Simone Scarpello.

Ad ospitare la mostra, che rientra tra le iniziative di “èVento di Cultura 2021” del Comune di Enna, un luogo alquanto insolito e“sconosciuto” ossia l’ex mulino, il forno dei panifici riuniti, incastonato tra la Chiesa di San Giuseppe e l’edificio che ospita il Comune in Piazza Coppola.

Gianluca Sodaro si è laureato alla Nuova Accademia di Belle Arti e Design di Milano (NABA). Nel 1995 è co-sceneggiatore insieme a Roberta Torre, del film “Tano da morire”. Nel 1997, con il cortometraggio indipendente “Una voce! Il mio diletto!” vincitore come miglior cortometraggio italiano al più importante festival di cortometraggi italiani, “Arcipelago, Osservatorio sul Cinema Italiano” di Roma (Italia). E con “I Paladini della Santa Provvidenza”: cortometraggio muto, fa il giro del mondo attraverso 25 Festival Internazionali ottenendo 13 nomination e 5 premi. Nel 2003 lavora come promo writer/producer e copywriter per Fox Channels Italia. Nel 2004 realizza il suo primo lungometraggio “Cuore Scatenato” che riceve il prestigioso riconoscimento di “Lungometraggio di Interesse Culturale” dal Ministero Italiano per i Beni e le Attività Culturali.

Come artista e fotografo Gianluca Sodaro ha tenuto la sua prima mostra personale fotografica “Ageless – Dolls have time to waste” alla Meno Nisa Contemporary Art Gallery di Vilnius (Lituania, 2016), al Radbury in Lussemburgo (2016) e alla Gloria Delson Contemporary Arts di Downtown LA -California (dicembre 2016). Nel 2019 ha presentato la mostra personale “Sante ma donne” a Castelbuono (Sicilia) e al FotoFever Photography di Parigi nel novembre 2019.

Un progetto fotografico all’interno di un ex mulino, perché?

L’idea è quella di presentarlo ogni volta in un contesto diverso. La prima è stata nella chiesa del Santissimo Crocifisso di Castelbuono, prima della pandemia, alcuni mesi dopo le madonne sono state presentate a Parigi con una galleria americana ed ora a Enna, prendendo spunto fai festeggiamenti della Madonna del 2 luglio, cercavo un posto insolito e con Paolo Gagliardi, che ha curato la parte dell’allestimento, è uscita fuori l’idea di questo ex mulino, chiuso da almeno 30 anni e depositario di tanti ricordi da parte di cittadini che hanno una memoria legata a questo spazio.

Come è cambiata concettualmente la mostra, dal suo concepimento, alla prima esposizione di Castelbuono a quella attuale?

E’ cambiata solo la musica perché nella prima esposizione c’era quella del compositore Angelo Badalamenti. Questa volta ho voluto coinvolgere persone del luogo, come Paolo Gagliardi per l’allestimento, Gaetano Fontanazza per la musica e Simone Scarpello per l’installazione nella stanza dell’apparizione. Ogni ruolo è finalizzato al progetto perché guidato da una regia.

Che reazioni suscita la stanza dell’apparizione nello spettatore?

Soggezione, perché un muro da cui proviene una musica o una suggestione suscita curiosità e al tempo stesso paura nel non capire cosa stia accadendo oltre il non visibile

Lo si può considerare un lavoro provocatorio? E se si rispetto ad una visione maschile della donna o ad una percezione femminile del proprio sé?

Non penso mai di creare una provocazione, mi concentro su ciò che mi piace e che trovo abbia un senso. L’iconografia dell’arte cristiana della Madonna col bambino mi ha sempre affascinato e mi piaceva l’idea di dare sacralità alla donna comune partendo dal presupposto che Maria era una figlia, una madre, una sorella.

Si rivolgono più al passato o al futuro le donne rappresentate in segno di preghiera?

Io le considero donne senza tempo, per cui c’è una madonna di ispirazione intima che è contemporanea, poi c’è la donna anziana centenaria. Ogni donna è una storia con abbigliamento e accessori ben definiti, perciò continuo a cercare Madonne in giro.

Nei lavori esposti si nota la predominanza di una tonalità: il verde, come mai?

Volevo dare una continuità a tutti i volti, ma la scelta è stata istintiva, qualcuno ci vede una speranza proprio perché si tratta del verde, chissà…  perché no.

Nella tua carriera ti sei cimentato in vari ambiti: dal lungometraggio al corto, dalla fotografia agli spot pubblicitari, in quale ti sei sentito maggiormente realizzato?

Mi sento più a mio agio nel momento in cui so di avere un’idea che funziona, poi si può declinare con le immagini, con le parole o l’immagine statica. Di base mi piace raccontare delle storie quindi anche quando l’immagine è statica, come quella fotografica, se qualcuno si ferma ad osservare e si fa una sua storia rispetto a quello che vede – che magari non è quella che voglio raccontare io – sono soddisfatto, vuol dire che ha funzionato.

Progetti per il futuro?

C’è un progetto di scrittura, un progetto teatrale e uno cinematografico.

In tal senso la pandemia è stata una “benedizione” perché sono riuscito a trovare del tempo per fare cose che solitamente non si riescono a fare o si rimandano.

 

Livia D’Alotto