Ramara e Ddarara, icone dell’identità di Troina

Nei due pellegrinaggi votivi nel mese di maggio di ogni anno sui Nebrodi dei devoti di San Silvestro, monaco basiliano, quello Ramara e l’altro dei Ddarara, ci sono alcuni aspetti di grande valore simbolico che meritano di essere esaminati con grande attenzione per poterne cogliere il significato. Non mi riferisco a quelli religiosi che sono la manifestazione dell’autentica e profonda devozione che i pellegrini provano per San Silvestro, patrono e cittadino di Troina. Ne indico alcuni. All’andata del loro “viaggio”, come chiamano il loro pellegrinaggio, i devoti non passano sul ponte Failla, che attraversano invece al ritorno dal bosco.

L’arrivo al fiume

Sempre al ritorno, appena arrivano al fiume Troina, si dispongono in cerchio e compiono alcuni giri come se volessero abbracciarlo. Per i fiumi, i popoli antichi avevano una vera e propria venerazione. I babilonesi
consideravano l’Eufrate una divinità. Il Giordano era sacro per gli israeliti. Il Nilo lo era per gli egiziani al
tempo dei Faraoni. Ma qual è il significato dell’andare al bosco e dei gesti che compiono durante il
pellegrinaggio, come l’abbraccio tra quelli di loro che sono andati a toccare l’alloro e gli altri che li
aspettano al ritorno?

Libro di Junker

Una delle possibili chiavi di lettura è quella pagina del libro “Trattato del ribelle” di Ernst Junker dove si parla del bosco. Il libro è un saggio sociopolitico dove si parla della contrapposizione di necessità e libertà, di figure tipo lavoratore, milite ignoto e ribelle. Per indicare la condizione umana nelle sue molteplici forme, Junker diverse metafore. Tra queste c’è “quella del passaggio al bosco”, che compie il ribelle. Naturalmente lo scrittore tedesco non conosceva il pellegrinaggio di Ramara e Ddarara, ma quello che scrive in senso metaforico sul bosco inteso come un santuario e sull’esperienza che fanno quelli che vanno al bosco ci aiuta capire alcune cose profonde che non si colgono restando in superficie. La grande esperienza del bosco è, per Junker, “l’incontro con il proprio io, con il nucleo inviolabile, l’essenza di cui si nutre il fenomeno temporale e individuale”.

Sul piano morale quest’incontro, così importante sia nel guarire sia nel fugare la paura, ha un valore altissimo perché, come spiega Junker, “porta verso quello strato sul quale poggia l’intera vita sociale che sin dalle origini è sotteso ad ogni comunità” Conduce verso “quell’essere umano che costituisce il fondamento di ogni elemento individuale e da cui si irradiano le individuazioni”. Aggiunge Junker che è proprio qui, “in questa zona non ritroviamo soltanto la comunanza: qui c’è l’identità. E’ questo che si profila nel simbolo dell’abbraccio. L’io si riconosce nell’altro, secondo la formula antichissima: “Tu sei quello”. L’altro può essere la persona amata, anche il fratello, il dolente, lo sprovveduto. L’io che gli porge aiuto s’innalza nell’imperituro. Qui si consolida la struttura che è fondamento del mondo”. Ramara e Ddarara non sono soltanto delle comunità di pellegrini sinceri devoti del santo patrono di Troina, sono anche schiette e forti espressioni dell’identità troinese costruitasi nel corso di un storia millenaria.

Silvano Privitera