Enna. Al castello di Lombardia: IMMENSAMADRE, drammaturgia di Elisa Di Dio e Filippa Ilardo, poi vino e tarantella
Enna-city - 23/08/2011
Enna. Al castello di Lombardia: IMMENSAMADRE, drammaturgia di Elisa Di Dio e Filippa Ilardo – questa sera – con Lucia Sardo, Elisa Di Dio e Patrizia Fazzi; coro Concetta Abate, Oriana Cardaci, Giulia Clemente, Marianna Palillo, Emanuela Pantano, Noemi Pintus, Sabrina Sproviero, Nenzi Vella e con la partecipazione dei “Lamentatori di Assoro”.
Fin dalla preistoria la capacità di generare era vista come potere magico: la Dea-Madre della Terra è stata la più antica rappresentazione della divinità, manifestazione del Divino, potenza fecondatrice che presiede a tutto ciò che esiste nella vastità cosmica della terra, genera tutti gli esseri, li nutre e li accoglie di nuovo nel suo seno, chiudendo così il cerchio della vita terrena e ultra-terrena degli esseri. È la dea madre di tutto, che racchiude nelle sue viscere il mistero della vegetazione, della coltivazione dei campi e di tutte le cose che nascono dalla terra e ritornano alla terra.
IMMENSAMADRE attinge ad un repertorio di tradizioni, riti e miti che, vivendo a metà tra Lutto e Teatro, concorrono a elaborare il senso della vita e della morte tutti in qualche modo riconducibili alla figura-archetipo della Madre-Terra: madre di Dio e magna Mater, risorgente in mille e più epifanie, dal fondo oscuro delle tradizioni precristiane, portatrice del Mistero della Vita e della Morte, capace di incarnare il senso del ciclico avvicendarsi della semina e del Raccolto, del Giorno e della Notte, delle stagioni e delle lunazioni, in un ritmo di danza cosmica che appartiene all’uomo sin dagli albori della Storia.
La Madre Cristiana per antonomasia, Maria, raggruma nelle sette spade che le trafiggono il petto, la domanda ontologica sul perché siamo, nel mondo, soggetti ad un destino di dolore e disfacimento. Tale domanda, trova compimento perfetto non in una parola, ma in un corpo, anzi nel Corpo per eccellenza: quello del Cristo, figlio di Dio. Non a caso in Sicilia i riti del venerdì Santo sono nuclei incandescenti di emozioni che, raccontate e cantate in forma di teatro, mutuato essenzialmente da una matrice barocca e controriformista, dipanano agli occhi dei fedeli – spettatori la Vicenda che condensa in sé, tutte le storie del Mondo e lo stesso senso del nascere e morire.
L’allestimento è la riproposizione, in chiave moderna e contemporanea, della religiosità intesa come intimo legame tra l’umano e il divino, tra terra e cielo, come modalità esistenziale in cui si coglie la spinta e la sete insaziabile d’infinito che è fonte dell’angoscia e del senso mistico delle cose, come bisogno assoluto di affermare l’enigma dell’esistenza.
Donne e uomini, Padri e Madri, volti disegnati dal Tempo e voci intonate su sonorità armonicali affioranti da un oscuro fondo mediterraneo… sagome di “vecchi” dai visi scavati dal tempo, le cui rughe nascondono storie e memorie che si disvelano pian piano attraverso i canti e i cunti.
Un coro di donne, parche il cui unico movimento si condensa nel “carminare” la lana su un sudario bianco, tra preghiere e “gastime”, tra proverbi e detti popolari.
Storie di donne, archetipi di cui si esalta la capacità generatrice, seduttrice e catalizzatrice di tutte le tensioni erotiche. La vita e la morte, l’amore e il dolore, il tempo che passa e rigenera tutto.
Contrasti tra luce e lutto, tra senso del bello e senso del tempo, tra le schiene curve degli uomini segnati dalle fatiche e la sinuosità del corpo femminile, tempio della potenza ricreatrice della natura.