Sul Premio Città di Leonforte

Da “Fare il Punto e Accapo” 2017 del dott. Pippo Litteri apprendiamo che il Premio Letterario, oggi Premio città di Leonforte, nasce nel 1979 con il preside Antonino Proto, allora sindaco pro-tempore. Nel corso dei decenni molte personalità della cultura e della società sono state premiate: nel 1992 Nando Della Chiesa, nel 1994 Marco Risi, nel 2003 Vincenzo Consolo e molti altri di altrettanto spessore. Fra i leonfortesi insigni: padre Antonino La Giglia, padre Benedetto Pernicone, l’avv. Pasqualino Pappalardo e tanti altri ancora. Negli anni scorsi anche le case editrici hanno trovato il loro meritato spazio: nel 1994 Scandurra, nel 2004 Sciascia, Lombardi e Granata e nel 2005 G.B.Palumbo, Città Aperta e Sellerio.
Questo accadeva fino al 2016 prima che la formula del Premio venisse rinnovata e senza invocare i bei tempi andati, che spesso tanto belli non erano, e senza ringraziare le tante intelligenze fino ad allora coinvolte (pessima abitudine ancora in uso) si proseguì in altro modo. Il Premio Letterario si scisse e il monolite partorì due sezioni: Teatro e Micronarrativa e da quest’ultima ancora Fotografia e Cortometraggio perché la parola da sola annoia occorre inghirlandarla in un progresso senza sviluppo per citar il maestro. Due sezioni e due serate per dare spazio a tutte, le tante, voci. Il teatro anche quest’anno ha sperimentato formule innovative, riscuotendo molti consensi fra il pubblico e la Micronarrativa ha proposto diversi eventi collaterali. Interessando parecchi in alcuni casi e meno in altri anche perchè è capitato di sovrapporre più momenti in location antipodali e in orari vicini, ma certo la premura di riempire il cartellone estivo, ad agosto, con date del già passato luglio ha portato all’inguacchio. Al paese il Premio è come la RAI per il Paese: tutti lo vogliono spoliticizzare da candidati per appropriarsene da governanti, annettendo affini e meritevoli alla propria causa perché accettare la responsabilità del cambiamento del sistema e non solo dei nomi è cosa ardua. E come per il Paese tutti saprebbero certo fare meglio se solo potessero, peccato che non possono. Così è, e così sarà e certo il vecchio Premio godeva dei tempi felici che ingrassavano anche la cultura e il divertimento e ora che mala tempora currunt avere questo o quel nome famoso che ammicca a ben più vaste platee è difficile e poi cui prodest? La cultura è per sua natura elitaria e bastante a se stessa e l’amico dell’amico, ospite-premiato, passato il ponte Patrangelo si ricorderà solo dell’amico e forse della pizza di quel tale dal nome ossimorico e si guarderà bene dall’esportare la paesanità al continente. Suggeriamo per tanto all’amministrazione di trovare per il prossimo Premio un esimio indigeno da premiare. Uno/a che sia un intellettuale di destra perseguitato dalla sinistra perché di destra e dalla destra perché intellettuale, che evochi la localizzazione globalizzata in una estasi spirituale, che illumini il BELLO e ignori la lurdia morale e reale adattandosi al cambiamento cronico con devota abnegazione e che, con la solita retorica declamatoria, dica sempre e a tutti SI perché “u perdiri è chiù forti do muriri” e allora questo o quello pari sono.

a cura della Redazione