Elezioni ex Province, il desiderio delle poltrone ed il muro della Consulta

Ci viene da sorridere nel leggere le dichiarazioni di alcuni Deputati del Parlamento siciliano che, strofinandosi le mani come le mosche, si apprestano ad approvare il disegno di legge che introduce l’elezione diretta degli organi di governo degli enti intermedi siciliani.

La voglia di occupare nuove poltrone è tale e tanta da rifiutare ogni tentativo di ragionare sull’efficacia di tale modelli istituzionale all’interno di un sistema ordinamentale in cui regna il caos. L’inconsapevole leggerezza della politica odierna finirà per infrangersi, ancora una volta, contro i principi più volte acclarati dalla Corte costituzionale.

La corsa al voto

A fronte di una vecchia classe politica che, in coerenza con la caccia alle streghe del tempo, riuscì ad immobilizzare le Province regionali, la nuova classe politica è, in maniera del tutto opposta, animata solo dal desiderio di far votare i cittadini, senza curarsi del funzionamento di tali enti.

La riforma bendata

Nessun ripensamento, quindi, sulla necessità di applicare seriamente il principio di “libertà” nella scelta di ogni Comune di aderire al Libero Consorzio comunale o di liberarsi dagli assurdi recinti istituzionali coattamente previsti per le tre Città metropolitane. Nessun ripensamento sulla necessità di modificare l’art. 15 dello Statuto siciliano per uniformare la natura giuridica dell’ente intermedio regionale a quello delle Province del resto d’Italia. Nessun ripensamento sulla necessità di assicurare la copertura finanziaria pluriennale ad enti notoriamente sprovvisti di autonomia impositiva. Nessun ripensamento rispetto alla nuova falla che si sta generando nel sistema delle politiche pubbliche locali a seguito della costituzione delle Unioni di Comuni di 2° generazione, statutariamente preposte alla promozione di politiche di sviluppo territoriale di area vasta.

Registriamo, nostro malgrado, una drammatica frattura tra le accelerazioni dettate dai mutamenti sociali ed economici dei nostri territori e la capacità della classe dirigente di assorbirle ed orientarle secondo mirate politiche pubbliche. Ha ragione il CENSIS, nel suo ultimo rapporto, ci sentiamo letteralmente sfiduciati, depressi e abbandonati a noi stessi e, come tali, esposti all’alea imprescindibile degli eventi e di ciò “che accade”.

Massimo Greco