San Silvestro a Troina

Poche e frammentarie le notizie che si conoscono su San Silvestro monaco vissuto a Troina tra la fine del sec. XI e l’inizio del XII. In giovane età entrò nel monastero troinese di San Michele Arcangelo “il vecchio”, distinguendosi per una spiccata carità e bontà, al servizio della comunità locale. Alcuni dei fatti mirabili compiuti dal Santo sono incisi sulla base argentea della preziosa Vara; uno di questi, narra dell’aiuto prestato da Silvestro ad un vecchio mendicante, rivelatosi poi il Signore. Altri fatti prodigiosi sono narrati dagli storici: nota è la sua visita a Catania – distante quaranta miglia da Troina – per venerarvi Sant’Agata nel giorno della sua festa; grazie al dono della bilocazione, infatti, il Santo risultava essere contemporaneamente a Troina in monastero e a Catania prostrato in preghiera dinnanzi alla Santa. Importante nella vita di Silvestro rimane la visita a Roma, durante la quale il Pontefice, come risulta da un manoscritto greco, sembra l’abbia ordinato sacerdote. Al ritorno, si fermò a Palermo, dove guarì il figlio di Guglielmo I “il Malo”, re di Sicilia (1154-1166). Dopo un breve periodo di convivenza con i monaci di san Michele “il vecchio”, Silvestro si ritirò in eremitaggio in una grotta accanto all’oratorio dedicato a San Bartolomeo, prendendosi cura degli ammalati e trascorrendo molte ore della giornata in preghiera; qui concluse la sua vita terrena. La data di morte è incerta anche se gli autori antichi indicano il 1164.
In suo onore, tra maggio e giugno, si svolge il Festino di San Silvestro, ciclo di feste molto suggestive: Rami, Ddarata, Kubbaita, e Uscita della Vara. La tradizione del Festino è molto sentita dalla gente troinese che vi riversa il suo profondo sentimento religioso; sono momenti in cui ci si riappropria dei valori più genuini della propria terra, riscoprendo le radici e riconfermando quella suggestione che evoca speranza e contribuisce a realizzare una sorta di liberazione dalle angosce e dai problemi quotidiani.
Nella notte del giovedì che precede la penultima domenica di maggio, numerosi devoti, “i Ramara”, si radunano nella chiesa del Santo da dove ha inizio un toccante pellegrinaggio che a piedi li porterà fino alle lontane foreste nel cuore dei Nebrodi; qui, secondo il voto tradizionale, toccheranno e raccoglieranno le fronde dell’alloro. Alle prime luci dell’alba, dopo ore di faticoso cammino, i ramara giungono in una vasta radura, dove accendono i fuochi e preparano i bivacchi.
I pellegrini, dopo essersi ristorati e aver consumato prodotti genuini e caserecci accompagnati da buon vino, si dividono in due gruppi, alcuni rimangono al campo base, mentre altri si allontanano per andare a toccare l’alloro. Dopo alcune ore di cammino, giungono all’Anghira di Faccilonga, quasi un Santuario naturale, dove cresce l’alloro. Un alone soprannaturale e di letizia sembra incantare quel luogo, la voce della natura parla ai pellegrini. Tutto intorno è mistico: come ai tempi dei vecchi anacoreti si respira un profumo di delicati sentimenti e di santità. Da tanti secoli i troinesi hanno trovato all’ombra selvaggia di questo sacro bosco un legame indissolubile con il mistero; si sentono figli di una stessa stirpe e fratelli tra fratelli. In questo luogo giungono ogni anno recando in cuore con devozione una preghiera di ringraziamento, un’implorazione di aiuto, il poter ritrovare la pace dello spirito e rinnovare il coraggio per continuare sulla via del bene e della virtù, chiedere grazie materiali e spirituali, per intercessione dell’umile concittadino San Silvestro.
I ramara con l’ausilio di corde si calano giù per il pendio per raccogliere qualche ramoscello di alloro; un canto di ringraziamento spezza l’arcano silenzio del bosco.
Si riprende la via del ritorno al campo base; da qui si fanno loro incontro, al rullo del tamburo, quanti erano rimasti ad aspettare. Si forma un grande cerchio, il tamburo suona a festa, tutti inneggiano al Santo tra canti e spari a salve.
Al centro il massaro (il più anziano dei devoti) con un cenno del suo vincastro ordina il silenzio cosicché vengano intonati i canti tradizionali la cui melodia ricorda la melopea araba. Trascorsa la notte, all’alba del sabato mattina i pellegrini riprendono la via del ritorno. Lungo il tragitto, che da Fontana Fredda conduce al ponte di Faidda, i devoti che non hanno potuto partecipare al pellegrinaggio offrendo vino e biscotti danno ai ramara la bon vinuta e sciolgono con questa prommisione il loro voto.Domenica mattina alte aste di legno adorne di alloro e ricche di addobbi: fiori, bambole, festoni colorati, immagini sacre e altro, vengono portate in offerta al Santo in una suggestiva sfilata per le vie di Troina, tra il ritmo dei tamburi e l’invocazione “viva Diu e San Suvviestu e lu Patriarca San Giusieppi e lu Santissimu Sacramientu”. Giunti alla Chiesa Madre, in cima all’abitato, i pellegrini partecipano alla santa messa e, dopo la benedizione dei rami d’alloro, riprendono il cammino per raggiungere la Chiesa di San Silvestro dove rendono omaggio alla tomba del Santo e sciolgono il loro voto.
La domenica successiva si svolge con modalità similari la Ddarata. È un altro pellegrinaggio votivo altrettanto caratteristico: questa volta protagonisti sono cavalli e muli sfarzosamente bardati e carichi d’alloro. “…ed è ora un boschetto someggiato che sale e scende per le stesse pendici, che diffonde il suo dolce aroma, strisciando contro i muri dei campi e delle case…”, scriveva così all’inizio del secolo scorso Federico De Roberto affascinato dalla singolarità della festa.
Molto suggestiva è anche la Kubbaita. Tale termine di origine araba – “qubbiat” significa “mandorlato” – si usa in Sicilia per indicare il torrone. A Troina, invece, tale termine è passato per estensione ad indicare la cavalcata storica. Un nutrito gruppo di cavalieri vestito con costumi spagnoleggianti, preceduto da tamburini e trombettieri sempre in costume, apre il corteo; seguono i veri protagonisti della sfilata: sono tre cavalieri che cavalcano cavalli scelti e bardati con ricchi finimenti. I tre personaggi vestono un identico costume in stile cinquecentesco alla spagnola, e si differenziano tra loro per la colorazione dell’abito: uno è rosso-granato, uno blu e uno verde. Ogni cavaliere porta sulla spalla sinistra una piccola bisaccia piena di confetti, torroni e dolciumi. Un valletto che accompagna il cavaliere ed un palafreniere che regge le briglie del cavallo portano, dentro bisacce di seta, le provviste di riserva. Il singolare corteo, dopo aver percorso le principali vie di Troina, giunge in Piazza Conte Ruggero. In questa singolare cornice del centro storico, tra gli applausi e le grida gioiose della grande folla in attesa, avviene la caratteristica distribuzione della kubbaita. La particolare manifestazione per i costumi e le modalità di svolgimento si considera legata alla venuta e al soggiorno a Troina dell’imperatore Carlo V nel 1535.
Non meno ricca di fascino è l’Uscita della Vara. Il sabato pomeriggio che precede la prima domenica di giugno il simulacro del Santo, raffigurato nell’atteggiamento liturgico benedicente della tradizione greca, viene condotto in processione dalla Chiesa Madre alla chiesa a lui dedicata in una pesante e sfarzosa Vara settecentesca rivestita elegantemente in lamine d’argento.
Il lunedì successivo si concludono i festeggiamenti con il ritorno della Vara alla Chiesa Madre.

 

 

 
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