Intervista esclusiva a Mons. Pennisi, neo Arcivescovo di Monreale

Lo scorso venerdì è giunta dal Vaticano l’ufficialità sulla nomina del vescovo della Diocesi di Piazza Armerina, Michele Pennisi, quale Arcivescovo di Monreale. Una nomina già nell’aria da qualche mese e che adesso è stata ufficializzata con la firma del Santo Padre Benedetto XVI. Vi proponiamo l’intervista inedita ed integrale al vescovo mons. Pennisi il quale parla di questi quasi undici anni di guida pastorale nella diocesi armerina.

Con quale stato d’animo ha accolto la nomina di Sua Santità?
«Ho accolto la scelta del Santo Padre Benedetto XVI di nominarmi Arcivescovo della Chiesa di Dio di Monreale, come successore di Mons. Salvatore Di Cristina, con comprensibile trepidazione perché è assai grande il sacrificio che mi è stato chiesto di lasciare la Chiesa di Piazza Armerina, che ho cercato di amare con tutto me stesso e di servire per quanto ne sono capace. Sento tuttavia una grande serenità interiore, che nasce dalla coscienza di obbedire alla volontà di Dio attraverso la mia disponibilità ad accogliere la proposta del successore di Pietro per essere in mezzo nella Chiesa di Monreale come lo sono stato pèer quelal di Piazza segno di Cristo Capo e Servo, Pastore e Sposo della Chiesa, garante della comunione della Chiesa e della sua unità con la Chiesa universale».

Cosa rappresenta per Lei questo nuovo incarico di Arcivescovo di Monreale?
«Rappresenta non una promozione come si potrebbe pensare in termini mondani, in quanto si tratta di una diocesi fra le più antiche risalente al 1183 e per diversi secoli con un territorio tra i più estesi d’Europa, ma una nuova sfida che con l’aiuto della grazia di Dio dovrò affrontare per continuare ad annunciare e testimoniare il vangelo in un diverso constesto geografico e culturale».

Quando ufficialmente si trasferirà a Monreale?
«Mi è stato comunicato che all’unanimità il clero di Monreale ha scelto la data del 26 aprile, che corrisponde con la festa dell’anniversario della dedicazione del duomo di Monreale che è una delle più belle cattedrali al mondo. Questa festa è la più importante per una diocesi e sarà seguita nei primi di maggio dalla famosa processione del Crocifisso che è una delle più significative manifestazioni di pietà popolare di Monreale. In questo modo mi sarà consentito di poter celebrare la quaresima e le feste pasquali nella diocesi di Piazza Armerina, nella quale in quest’Anno della fede avevo già programmato una serie di eventi pastorali».

Cosa ha rappresentato per lei l’esperienza alla Diocesi di Piazza Armerina?
«Per me è stata la prima esperienza di vescovo, caratterizzata da una intensa partecipazione popolare e da una collaborazione attiva per il bene comune della nostra comunità avviato con le autorità, che mi ha arricchito molto sia spiritualmente che umanamente. Sono stato particolarmente colpito dall’accoglienza che ho ricevuto in tutti i paesi della diocesi e soprattutto da alcuni settori ritenuti indifferenti se non addirittura lontani al mondo ecclesiale come il mondo della scuola e della cultura ed il mondo del lavoro. Ho affrontato il mio ministero privilegiando oltre che l’evangelizzazione, la dimensione culturale e sociale della fede cristiana con una particolare attenzione ai problemi delle popolazioni meridionali, caratterizzata da una radicata religiosità popolare, da un grande senso di ospitalità e solidarietà, ma anche da una certa passività e fatalismo. Un’opera molto significativa è stato il recupero di un fondo donato dai fratelli Sturzo per un’opera di promozione umana in favore dei carcerati e delle loro famiglie affidato alla “Fondazione Mons. Di Vincenzo” presideuta da Salvatore Martinez».

Qual è il ricordo più ricorrente di questi anni alla guida della diocesi armerina?
«Uno dei ricordi più belli sono stati gli incontri fatti durante la visita pastorale nelle varie parrocchie, nelle scuole, nelle fabbriche, nelle carceri, negli ospedali e con i malati nelle case; gli incontri con i giovani e le famiglie, le confraternite e le aggregazioni laicali; gli incontri pubblici di carità e di cultura dove ho avuto modo di incontrare le autorità civili e militari, i sindacalisti, gli uomini di cultura, gli immigrati, i poveri».

Durante la sua attività pastorale è stato forte il messaggio contro la mafia, nel 2008 ha ricevuto minacce, come ha superato quel periodo?
«Con la serenità di chi non ha voluto essere un eroe o un professionista dell’antimafia, ma semplicente un pastore che ha cercato di compiere il proprio dovere andando avanti al mio popolo al quale propongo la santità nella vita ordinaria come il vero antitodo alla mafia. La scorta più importante per me è il mio Angelo custode e le preghiere e l’affetto del popolo di Dio. Il compito della Chiesa è un compito educativo di denuncia del male e di annuncio della buona notizia dell’amore di Dio, che è inseparabile dalla sete di verità e di moralità e dalla fame di giustizia. L’atteggiamento pastorale verso i mafiosi non può non avere a sua base la coscienza che la Chiesa è venuta gradualmente maturando circa l’incompatibilità di mafia e vita cristianaaccompagnata dalla esigenza di prevenire i fenomeni criminosi ed aiutare i mafiosi a pentirsi, a riparare il male fatto e a diventare persone nuove. Ritengo che noi cristiani abbiamo motivazioni valide per contrastare la mafia a partire dalla nostra originale esperienza di fede ispirata al Vangelo».

Qual è il messaggio che lascia ai fedeli della diocesi di Piazza Armerina?
«Appena pubblicata la notizia della mia nomina ho rivolto un messaggio al clero e ai fedeli della amata Chiesa di Piazza Armerina, nel quale ho detto che in questo decennio sono stato sostenuto, nonostante le mie deficienze e fragilità, dalla certezza espressa nel motto del mio episcopato che l’amore di Gesù Cristo non mi abbandona ma mi possiede e mi spinge a vivere non più per me stesso, ma per Lui che è morto e risorto per me. In questi anni con i fedeli delal comunità diocesana ci siamo conosciuti, accolti, stimati e voluti bene. Abbiamo rivissuto insieme l’avventura dell’incontro e della sequela di Gesù Cristo, nella vita della nostra Chiesa. Conserverò per tutta la vita una gratitudine grande per i miei condiocesani che mi hanno consentito di fare un’esperienza indimenticabile di fede. Ho chiesto perdono per tutti quei momenti in cui i miei limiti personali hanno reso meno limpida la testimonianza della carità pastorale».

Quando si conoscerà il nome del suo successore?«Dopo l’inizio del mio servizio pastorale a Monreale a fine aprile inizierà la procedura per la nomina del nuovo vescovo che richiederà diversi mesi. Durante la sede vacante la diocesi sarà retta e rappresentata da un sacerdote eletto dal Collegio dei Consultori Amministratore diocesano. È un segno di fiducia che ho chiesto alla santa Sede nei confronti del clero della diocesi piazzese».

Lei è stato in prima linea nei festeggiamenti per il Seicentesimo della proclamazione di Maria Santissima della Visitazione quale patrona di Enna, qual è il suo ricordo più bello di questo evento?
«Sono rimasto molto colpito dalla notevole partecipazione popolare anche l’11 febbraio 2012 dove nonostante la neve si è svolta la celebrazione per i malati con la partecipazione del Card. Diaz. Un evento unico è stata la partecipazione a piazza San Pietro di una folta delegazione ennese con la benedizione delle corone della Madonna e del Bambino da parte del Santo Padre. Debbo testimoniare inoltre che il card. Bagnasco è rimasto molto favorevolmente impressionato dalla processione del 2 luglio e ne ha parlato positivamente con molte persone».

Nel capoluogo è forte la tradizione delle confraternite, quale messaggio lancia a loro?

«Le confraternite sono una realtà importante per la vita della Chiesa. Esse non sono associazioni filantropiche, ma un insieme di fratelli che, volendo approfondire la propria fede e vivere il Vangelo nella consapevolezza di essere parte viva della Chiesa, si propongono di mettere in pratica il comandamento dell’amore, che spinge ad aprire il cuore agli altri, particolarmente a chi si trova in difficoltà. Oggi l’urgenza della nuova evangelizzazione esige che anche le Confraternite partecipino più intensamente e più direttamente all’opera che la Chiesa compie per portare la fede e la carità di Gesù Cristo agli uomini del nostro tempo, prendendo opportune iniziative, sia per la formazione religiosa, ecclesiale e pastorale dei loro membri, sia in favore dei vari ceti nei quali è possibile introdurre il lievito del Vangelo».

In un periodo di grave crisi economica e forse anche d’identità, cosa dice ai giovani, alcuni dei quali spesso sofferenti?
«In questo periodo di crisi morale ed economicca c’è il rischio per i giovani dello scoraggiamneto e dello sbandamento senza valori forti di riferimento, anche per l’assenza degli adulti che hanno abdicato al loro compito educativo e a una testimonianza credibile di vita. Il compito della Chiesa è dare un messaggio di speranza proveniente dal vangelo. Mi auguro che i giovani possano vedere nella chiesa la loro casa e possano trovarsi a proprio agio. Una bella esperienza della chiesa in questo contesto è quella degli oratori. Questi centri svolgono un ruolo fondamentale: incontrano i giovani nel tempo libero e fanno vivere un’esperienza integrale della fede che interessa non solo la liturgia ma anche le attività ludico-ricreative. Per quanto riguarda il lavoro ci staimo impegnando attreverso gli animatori del Progetto Policoro di educare i giovani ad una cultura del lavoro e della cooperazione offrendo ai giovani che vogliono iniziare una attività imprenditoriale un accompgnamento attraverso degli esperti e sostegno economico attraverso un microcredito riservato a loro».

Un’altra comunità a cui è stato molto vicino è quella carceraria, ha spesso mostrato vicinanza ai detenuti, dando loro speranza, qual è il saluto che rivolge a loro?
«Nel territorio della diocesi di Piazza Armerina esistono tre carceri: ad Enna con diverse sezioni, a Piazza e a Gela. Per me gli incontri con i carcerati sono stati gli incontri più commoventi. In questa settimana sono stato al carcere di Gela dove, dopo aver regalato un calcetto da tavolo, ho voluto visitare tutti i carcerati nelle loro celle. E’ stata un’espereinza indimenticabile. Visitando per Natale e per pasqua le carceri ho voluto compiere non solo un gesto di solidarietà nei confronti dei detenuti, ma anche un gesto pubblico che ricordi ai nostri concittadini e alle Istituzioni pubbliche il fatto che ci sono grandi problemi e difficoltà nelle carceri italiane. Dispiace che l’emergenza carcere, dovuta anche al sovraffollamento non è stata considerata un’urgenza per il Paese. Le pene alternative sarebbero il modo per ragionare fin da subito su come persone che hanno commesso reati possano essere incluse dentro la società, nei confronti della quale hanno espresso atti di violenza. Il messaggio che voglio lanciare a loro è di rassicurarli che Dio non li abbandona e li ama e desidera che, scontando al giusta pena, percorrano un cammino di reiducazione e di riabilitazione che li far inserire domani da uomi liberi e rinnovati nella società».